Dopo quasi 3 anni di indagini, il 22 gennaio 2014 si è conclusa con 6 arresti l’inchiesta sulla bonifica dell’area ex-Sisas di Pioltello-Rodano, condotta dal Nucleo operativo ecologico di Milano e coordinata dalla Procura della Repubblica di Milano e dalla Dda del capoluogo lombardo.
I reati contestati vanno dalla corruzione alla truffa, dal traffico allo smaltimento illecito di rifiuti, per mezzo della de-classificazione degli stessi, passati da pericolosi a non pericolosi, al fine di ottenere ingiusti profitti.
Le manette sono scattate per Francesco Colucci, presidente del gruppo Unendo spa (acquisito nel 2001 da Waste Management Italia, oggi Waste Italia), incaricato della bonifica dell’ex-Sisas di Pioltello -azienda produttrice di acetilene, chiusa definitivamente il 28 aprile 2001- tramite la controllata Daneco; Bernardino Filipponi, amministratore della Daneco; Claudio Tedesi, ingegnere ambientale nella squadra del commissario alla bonifica; Fausto Melli e Luciano Capobianco responsabili della direzione dei lavori.
E, infine, Luigi Pelaggi, commissario straordinario della bonifica dell’area industriale alle porte di Milano, capo della Segreteria tecnica del ministero dell’Ambiente, collaboratore dell’ex ministro Stefania Prestigiacomo, “reggente” di una poltrona nel consiglio d’amministrazione di Acea spa, e un posto in Sogesid spa, coinvolta nelle progettazioni delle discariche A e B della ex-Sisas.
La Sogesid spa è una società in house dei ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture, e negli ultimi anni è riuscita a mettere insieme numerose consulenze a sostegno di diverse amministrazioni, dalle bonifiche alla progettazione di impianti per lo smaltimento dei rifiuti, dalle riqualificazioni ambientali al risanamento di bacini idrici.
Solo nel 2011 -anno in cui è partita l’inchiesta della Procura di Milano- la Sogesid spa ha messo insieme oltre 200 consulenze per un valore complessivo di quasi 5 milioni di euro.
Tra le varie “commesse” gestite o tra quelle tuttora in atto, ci sono diversi Siti d’interesse Nazionale (SIN). Gli impegni di Sogesid vanno dalla riqualificazione ambientale delle aree ricadenti nel SIN Taranto , compreso il contestuale sviluppo infrastrutturale prioritario dell’area portuale, agli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel Sito di Interesse Nazionale di Brindisi; dalla gestione delle risorse finanziarie per gli interventi di bonifica e ripristino del SIN Priolo alla definizione degli interventi di messa in sicurezza delle acque di falda e dei suoli nel SIN Val Basento, in Basilicata, dove la Sogesid ha anche sede legale, a Matera.
In Lucania la società è al centro di un progetto per la realizzazione di 2 impianti per la termovalorizzazione della frazione secca derivante da sovvalli relativi a processi di trattamento di rifiuti indifferenziati, per valorizzare le frazioni ad alto potere calorifero, finalizzati alla produzione di CDR-Q (Combustibile Derivato dai Rifiuti di Qualità).
Un’azione che prevede il coinvolgimento, attraverso Accordi di Programma, delle locali cementerie che potrebbero utilizzare proprio il CDR prodotto come combustibile. Tratto da Altreconomia
Oltre ai sei arresti sono finite sotto inchiesta per gli illeciti commessi sulla bonifica dell’area ex Sisas di Pioltello Rodano anche altre 38 persone. Tra gli indagati dalla procura di Milano i vertici dell’Agenzia Regionale Protezione dell’Ambiente. Tra di loro è spuntato pure il nome dell’ex direttore dell’Arpa di Brescia , Giulio Sesana, in pensione da giugno e in attesa della nomina ministeriale a commissario straordinario per il sito Caffaro. Secondo gli inquirenti «non avrebbe vigilato sul trattamento dei rifiuti avvenuto anche nel bresciano». Insieme a lui anche Umberto Benezzoli, direttore generale dell’Arpa Lombardia, accusato di gestione illecita di rifiuti pericolosi, in relazione al «parere tecnico-scientifico» firmato con lo stesso Sesana. Per la procura di Milano sono tutti in diverso modo coinvolti nei mancati controlli al traffico di rifiuti pericolosi proveniente dalla discarica di Pioltello e finito in discariche e impianti di smaltimento della Lombardia e non solo. Una sorta di truffa dei rifiuti, in cui ciascun codice identificativo, per i rifiuti speciali, veniva ‘scambiato’ con codici identificativi diversi, per rifiuti ‘normali’. Un giro di affari , tra bonifica del sito milanese e interventi di smaltimento rifiuti , superiore ai 150 milioni di euro.
Da Radio Onda d’Urto
Nascondere lo sporco «tossico» sotto il tappeto, spacciandolo per innocua «polvere», fruttava. E parecchio. Ammonterebbero a sei milioni di euro i profitti illeciti legati al business dei rifiuti pericolosi «spacciati» e trattati come scarti inerti negli impianti di smaltimento bresciani. E se il quadro affrescato dagli inquirenti di Milano sarà confermato, ne serviranno altrettanti per inertizzare le scorie sparse sul nostro territorio.
STANDO ALLE CARTE dell’inchiesta «No smoke» che ha travolto i vertici dell’Arpa, oltre trenta delle 280 mila tonnellate di «veleni» del polo industriale dismesso Sisal di Pioltello sono state tumulate senza precauzioni nella Bassa e in Franciacorta. Al di là dei risvolti giudiziari del presunto giro di «mazzette», sullo sfondo si staglia una serie di emergenze ecologiche che toccano territori già alle prese con problematiche ambientali strutturali. Le due situazione più delicate si registrano a Rovato e Montichiari, dove gli scarti pericolosi, derubricati contraffacendo i codici in materiale inerte, sono stati semplicemente tumulati senza essere sottoposti ad alcun trattamento di sicurezza. Diecimilatrecentonovantanove tonnellate di fuliggine – si legge nelle sei ordinanze di custodia cautelare – sono state illecitamente conferite alla Systema Ambiente di Montichiari, impianto che gravita nella holding dei rifiuti di Manlio Cerroni, finito ai domiciliari per un’inchiesta su una presunta truffa orchestrata attorno alla mega discarica romana di Malagrotta. Il vicesindaco Gianantonio Rosa preferisce non sbilanciarsi: «Aspettiamo l’evoluzione delle indagini prima di trarre conclusioni» afferma laconicamente. Allarme anche a Rovato, dove secondo quanto emerso dall’inchiesta nell’ex cava Rovedil sarebbero state conferite illecitamente 615 tonnellate di nerofumo (polvere di combustione) contenente il benzopirene, sostanza potenzialmente cancerogena. «Abbiamo già interpellato Linea Ambiente che all’epoca gestiva la discarica, chiedendo verifiche e rassicurazioni in merito ai conferimenti del 2010, quelli finiti al centro dell’inchiesta – spiega il sindaco Roberta Martinelli -. A breve contiamo di ottenere una risposta: se dovesse emergere qualche dato anomalo, interverremmo tempestivamente per tutelare la salute dei cittadini». Ironia della sorte, la ex cava Rovedil è l’emblema di come vengono gestiti i bacini estrattivi esauriti nel Bresciano che – a differenza di altre zone d’Italia – finiscono sempre e comunque per essere riempiti di immondezza. La discarica aperta nel 1996, venne chiusa nel 2003, riattivata nel 2006 e poi dismessa definitivamente nell’estate del 2011.
NELLA «DIASPORA» senza controllo delle scorie bonificate a Pioltello, 2 mila tonnellate di rifiuti pericolosi sono finiti a Maclodio dove opera la Pbr che ieri, contattata da Bresciaoggi, ha preferito non commentare la vicenda.
Il sindaco Marcello Orizio mette la sordina ai facili allarmismi. «Seguiamo con attenzione il caso, ma al momento non siamo preoccupati – osserva -. Nel nostro territorio tutti i parametri che misurano l’inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’aria si sono sempre mantenuti nei limiti di legge. La Pbr poi non è una vera e propria discarica, ma un impianto di trasformazione dei rifiuti. Il che ci tranquillizza».
Orizio, però, allarga il focus. «I problemi legati allo smaltimento di rifiuti sono una costante nel Bresciano. Per quel che riguarda Arpa, posso dire che a Maclodio ha sempre lavorato in maniera puntuale ed efficiente. Dopodiché in tutti i settori c’è chi si comporta bene e chi invece prova a fare il furbo. Ma lasciamo che sia la magistratura a stabilire eventuali responsabilità».
Un altro «black point» portato alla luce dalle indagini è a Calcinato. Qui la situazione è un po’ più articolata: nel senso che alla società Soleluna di San Zeno viene imputato di aver smaltito nella Cava Calcinato 19 mila tonnellate di scarti di bonifiche di terreni e nerofumo con il codice di rifiuti di rocce e terre da scavo.
«Sono indignata e preoccupata – osserva il sindaco di Calcinato, Marika Legati -. Dalle recenti rilevazioni sul territorio non sembrano esserci anomalie, ma l’inchiesta presenta aspetti inquietanti, specie per un Comune dall’equilibrio ambientale fragile come il nostro. Se dalle indagini emergeranno responsabilità, il Comune è pronto a costituirsi parte civile». Anche Marika Legati va oltre: «La vicenda riporta alla ribalta un problema molto più ampio, ovvero quello della tracciabilità dei rifiuti, tema sul quale sindaci e Comuni non hanno voce in capitolo: si è fatto molto per limitare le ricadute delle discariche sul territorio, mentre si è fatto poco o nulla per regolamentare la gestione del trasporto degli scarti. L’appello dal territorio è che le istituzioni si muovano in questa direzione, affinché situazioni così frustranti non capitino più. Specie in un territorio come il nostro, già pesantemente martoriato».
L’indagine intanto prosegue seguendo anche altri filoni, compreso quello portato alla luce da Greenpeace che aveva segnalato nel 2011 sospetti movimenti di camion che dal sito di Pioltello raggiungevano, fra l’altro, anche siti in Valsabbia, non preposti allo smaltimento.
dal Bresciaoggi del 24 gennaio
vedi anche
https://toxicleaks.org/blog/2014/01/23/veleni-bonifiche-e-mazzette-milano/