Spussa e fuméria, detersivo, atmosfere spray camion ch’a scario merda e vissi, altro che blue sky Container anonimi a giro ël mond, sensa passaport përché as sa che ij pì potent a riesso a vende ‘cò ij scart (Mau-Mau, “Basura”)
La Prefettura di Brescia ha finalmente deciso di mettere in sicurezza o di bonificare gli oltre 160 siti contaminati da materiale radioattivo presenti sul territorio bresciano, 70 dei quali sottoposti a sequestro giudiziario. Il materiale verra’ raccolto in un unico bunker. Ministero dell’Ambiente e Ispra decideranno dove, con molta probabilita’ una cava gia’ contaminata. La questione piu’ spinosa è legata ai sette siti contaminati da Cesio 137 dove risulta molto difficile la rimozione, in particolare per quanto riguarda le decine di tonnellate di scorie radioattive stoccate (su indicazione dell’Enea) agli inizi degli anni Novanta dalla Raffineria Metalli Capra in un’ex cava d’argilla sul Monte Netto di Capriano del Colle . Altra questione spinosa quello della Cagimetal all’interno dell’ex cava Piccinelli a Brescia (1998), con il rischio di contaminazione della falda. Il Comune di Brescia ha recentemente stanziato l’irrisoria cifra di 350mila euro per iniziare la bonifica.
https://brescia.corriere.it/brescia/notizie/cronaca/12_giugno_12/20120612BRE03_14-201568419126.shtml
Vi riproponiamo l’articolo che Andrea Bianconi, collaboratore di Radio Onda d’Urto ha scritto il 17 febbraio scorso , e che ricostruisce in maniera dettagliata perche’ Brescia è diventata provincia radioattiva.In fondo all’articolo un suo commento alle notizie sopra riportate.
Ogni tanto, i materiali radioattivi abbandonati in giro per la provincia si riaffacciano all’attenzione dei media. Gli ultimi sono quelli della cava ex-Piccinelli. Se non hanno già contaminato le falde prima o poi lo faranno, quella roba sta lì da una vita e nessuno ci fa niente. Prendendo spunto da questa storia da terzo mondo, cerchiamo di capire perché la contaminazione radioattiva del territorio è un problema da non trascurare oggi, e che può diventare enorme domani. I punti salienti sono due: Il primo, è che il territorio bresciano si è trasformato in una catena di montaggio dello “smaltimento” del rifiuto pericoloso, radioattivo e non. Il secondo, è che il volume di spazzature radioattiva in accumulo sul territorio ha inquietanti prospettive di crescita.
Prima parte:
PATTUME ALLA GRIGLIA.
1) Quello delle acciaierie che riciclano rottami senza fare le schizzignose sulla provenienza è un problema di dimensione europea. E noi che lo facciamo con entusiasmo siamo un problema per tutti, perché una volta che il materiale è stato riciclato in prodotti elaborati (non so, un tubo, un vagone, una radio) quello gira l’Europa intera, non si può controllare quanta radiazione o diossina c’è in ogni oggetto d’Europa. Vediamo però la cosa dal lato B: se un paese “civile” ha accumulato un bel mucchio di spazzatura che a casa sua è ingestibile e nessun altro accetta, ecco che Brescia e l’Italia diventano un partner commerciale prezioso.
2) La legislazione italiana è pensata per proteggere chi fa il danno, e siamo all’assurdo di essere l’unico paese sviluppato nel quale il rottame non è classificato come “rifiuto” e non richiede procedure di stoccaggio e sicurezza da rifiuti. In pratica, se tu trasporti o lavori con rottami di automobili la legge ti considera poco diverso da chi trasporta o lavora con automobili sane. Nonostante un’intera Conferenza di Stoccolma sulla questione, e le ingiunzioni dell’Unione Europea, i nostri governi di chiamare i rottami “rifiuti” non ne vogliono sapere. La città e la provincia di Brescia hanno fatto dello smaltimento di rifiuti speciali una attività economica trainante, una vera e propria vocazione. Ognuno può verificare da sé che sul sito delle pagine gialle, alla ricerca “rifiuti speciali Brescia” rispondono 57 voci, mentre “rifiuti speciali Torino” produce 49 voci, nonostante Torino abbia 4 volte e mezza gli abitanti di Brescia.
3) A questa vocazione al pattume concorrono diversi fattori:
(a) Storicamente ha iniziato l’industria siderurgica, che per i suoi caratteri di produzione molto differenziata (acciai speciali, ottoni, leghe di rame, alluminio, piombo) richiede una vasta gamma di materie prime. In casa non le abbiamo. Fuori casa, mette le mani sulle materie prime chi è in grado di tenere in piedi politiche imperiali, e non è il caso nostro. Specializzarsi nel riutilizzo del rottame è stato un fatto di pura sopravvivenza.
(b) L’inceneritore, il più grande d’Europa, che assorbe 800,000 tonnellate di rifiuti all’anno di cui solo 1/3 di origine locale, e ne produce 170,000 di rifiuti speciali solidi, più quello che se ne va per l’aria (ossia tutto il resto, dato che la materia non si crea e non si distrugge). Le tonnellate sono il meno: il ruolo importante dell’A2A è stato quello di gettare sul piatto delle lobby della spazzatura un peso massimo in termini di potere di pressione politica ed economica.
(c) Una interminabile fila di piattaforme private di “gestione” di rifiuti speciali e pericolosi. A Brescia e dintorni circolano più rifiuti pericolosi che a Milano.
(d) Una gestione fin troppo “meridionale” della differenziazione e del riutilizzo primario dei rifiuti urbani. Difficile separare questa non-gestione dalla fame di spazzatura indifferenziata dell’A2A. Ricordiamo che mentre nel resto del mondo l’indifferenziata frutta multe, a Brescia l’indifferenziata (quando finisce nell’incineritore) porta soldi dal 7 % delle bollette del resto d’Italia.
(e) Una grande abbondanza di cave, scavi e buche di ogni genere. Piccole e grandi cave di sabbia, ghiaia, calcare, sono centinaia. Ogni vuoto è stato prima o poi riempito e ricoperto, spesso in modo illegale ed incontrollabile. Nel caso delle discariche ufficialmente riconosciute, una marea di polemiche accompagna i controlli sulla vera natura dei rifiuti smaltiti, e sui sistemi con cui questi vengono isolati dal terreno e dall’atmosfera.
(f) Molte attività di produzione di materiali nei quali si può imboscare il rifiuto nocivo. Entro la sfera del legalizzato, metà dei rifiuti speciali prodotti dall’A2A sono riconvertiti in materiali edili, ad alto tasso di metalli pesanti, ossia veleni legalizzati ma pur sempre veleni. Fuori dalla sfera del legalizzato è difficile controllare.
(g) Una gran quantità di cantieri in atto o progetto. Come cercò di farci sapere Ilaria Alpi prima che le tappassero la bocca, le opere infrastrutturali sono giganteschi secchi della spazzatura (vedi recenti esempi: Bre-Be-Mi e tangenziale di Orzivecchi). I rifiuti si distinguono nelle due categorie “urbani” e “speciali”, e poi tra gli “speciali” abbiamo il sottogruppo “pericolosi”. Brescia produce il 2 % dei rifiuti urbani nazionali, e questo potrebbe andare bene. Ma quando si passa ai rifiuti speciali siamo al 4.4 %, e per quelli pericolosi al 7.5 %. Ossia, su 13 rifiuti pericolosi italiani, uno si produce qui. Notiamo però che i rifiuti speciali pur essendo di produzione bresciana, derivano in gran parte da attività di riutilizzo di altri rifiuti, provenienti dal mondo intero. Gli esempi più ovvi sono l’A2A e il riutilizzo di rottami. E qui parliamo di cifre ufficiali, attività registrate. Se funziona come per l’immigrazione, dobbiamo immaginare che per ogni container timbrato ce ne sia un altro nascosto negli scantinati.
4) Le amministrazioni e le elites cittadine si comportano come in quei paesi ex-poveri dove uno sviluppo impetuoso è avvenuto a totale discapito della vivibilità dell’ambiente. Salvo che a Brescia lo sviluppo impetuoso si è fermato da un pezzo, mentre la corsa alla devastazione continua. Siamo al paradosso che nelle controversie pubbliche gli assessori all’ambiente assumono il ruolo degli avvocati difensori delle aziende inquinanti, o si fanno elementi trainanti dei progetti di edilizia industriale. Le decisioni sono solo emanazione degli interessi di alcuni gruppi privati e pubblici, l’atteggiamento nei confronti dei comitati di cittadini è sul genere “ma non rompete”. L’area che da S.Polo e Buffalora si estende fino a Rezzato presenta caratteristiche di degrado ambientale che all’interno di un tessuto urbano sono immaginabili solo nel terzo mondo. Quella a sud di via Milano in altre nazioni sarebbe considerata inabitabile. La zona di Montichiari è un vero e proprio polo europeo delle discariche, con horror-stories una sul genere irritazione di massa sui bambini di una scuola etc, e con una discarica di amianto bloccata dal magistrato perché piena di porcherie prima ancora di cominciare. Anziché metterci una pezza, dai compromessi tra amministrazioni e lobby emergono piani per ulteriori elementi di degrado: addio al previsto piano di recupero centrato attorno al Parco delle Cave, al suo posto una discarica di amianto non stabilizzato e un bitumificio, attività che creano il vuoto attorno a sé: l’una ammazza e l’altro puzza. Sullo sfondo una pianificazione di cantieri sufficienti a costruire letteralmente una seconda Brescia, a fronte di una popolazione e di una economia stazionarie.
5) Gli organismi di controllo mettono timbri, quando lo fanno. Nel caso della vicenda Caffaro, connivenze, occultamenti, depistaggi, sommano ad una spy-story, con la presa per i fondelli di una legge regionale che prima chiede quanto PCB c’è alla Caffaro e poi stabilisce che un po’ più di quello è il tetto consentito. L’Arpa è venuta regolarmente meno al suo dovere istituzionale di monitoraggio delle emissioni dell’incineritore A2A. Obbligata a muoversi da scandali di una certa risonanza mediatica, ha prodotto analisi poco sistematiche e fin troppo mirate, con le quali ha scaricato l’intera responsabilità delle diossine bresciane sulle attività industriali, per coprire l’A2A. Una ricerca (sul sito web dell’Arpa) dei dati delle centraline di misura attive nella provincia mostra che è impossibile disporre di dati significativi. Praticamente per tutti gli inquinanti di interesse. Le centraline sono poche e piazzate in punti scelti ad arte: a Brescia il PM10 viene misurato al Broletto e al Villaggio Sereno, dove risulta lo stesso di Darfo e meno di Coccaglio e Sarezzo. Chiaro che una centralina alla Pusterla ne misurerebbe tre volte tanto. Notiamo che un grave provvedimento della regione Lombardia ha tolto agli ispettori Arpa la qualifica di ufficiale giudiziario, sganciando questo personale dal potere giudiziario e rendendolo completamente subalterno a quello politico. Le ASL si sono distinte per una famosa mappa delle contaminazioni da diossina nella quale non compariva l’edificio dell’incineritore, benchè questo fosse operativo dal 1998.
6) Sul versante investigativo la sproporzione tra compiti e mezzi è abissale. A Brescia in questo momento passano una ventina di indagini legate ai reati ambientali, dodici delle quali di interesse della Direzione Distrettuale Antimafia. Le indagini per i reati ambientali delle province di Brescia, Bergamo, Mantova e Cremona sono tradizionalmente responsabilità del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Brescia (NOE), il quale dispone di sette elementi operativi comandante incluso. Più recentemente è stato costituito un apposito pool ambientale alla Procura di Brescia: quattro magistrati, con a disposizione i quattro operativi del NITA (Nucleo Indagini Tutela Ambientale). Tirando le somme, pochissima gente, rapportata alla dimensione e al numero dei fenomeni che dovrebbero combattere.
7) Allo stato attuale il problema principale sono i contaminanti chimici, più di quelli nucleari. Però la contaminazione radioattiva potrebbe diventare un problema colossale nell’arco 10-20 anni, per le due ragioni seguenti:
(a) La siderurgia che ricicla rottami è estremamente energivora. I suoi forni elettrici bevono quasi metà dell’elettricità della provincia. Poi c’è il consumo di carburante per il trasporto del rottame dai luoghi di origine. Quindi come attività lecita può essere condannata alla chiusura, con l’aumento dei prezzi del petrolio. Le scorie da impianto nucleare sono un boccone prelibato, per una azienda in difficoltà: se ti prendi un carico di rottami “sporchi” (di radiazione o altro) è probabile un grosso sconto.
(b) Nei prossimi 10-20 anni devono essere smantellati metà degli impianti nucleari europei. Solo per stare ai paesi più nuclearizzati dell’europa occidentale, la Germania dovrà smantellare tutte le proprie centrali per decisione politica, l’Inghilterra e la Francia ne dovranno smantellare una buona parte causa vecchiaia. Questo significa decine di centrali nucleari, destinate a trasformarsi in rottami che questi paesi avranno poca voglia di tenersi.
Seconda parte:
PATTUME AI RAGGI GAMMA.
1) In questi ultimi venti anni una lunga fila di episodi di contaminazione nucleare legati al “giro” dei rottami ha attivato indagini giudiziarie a Brescia. Il quadro che viene fuori è quasi sempre lo stesso. Dall’est europeo i rottami contaminati arrivano in Lombardia e Veneto, ma non per la via diretta, prima fanno il giro del mondo e d’Italia. Un passaggio importante è presso ditte italiane che ne falsificano i bolli di origine. Da quel momento in poi, sono rottami italiani. I pezzi radioattivi sono inseriti dentro scatole di piombo, che schermano la radioattività e passano i portali di controllo all’ingresso delle fonderie. Te ne accorgi perché nei prodotti di fusione contaminati il piombo e la radioattività sono vicini. Così al danno da radiazione si aggiunge quello da avvelenamento. Le complicità ambientali lungo la strada sono enormi a tutti i livelli. Ogni volta che nelle acciaierie salta l’allarme, il terrore è generale: sequestro, blocco impianti, cassa integrazione. Tutti, ma proprio tutti, fanno il possibile perchè l’allarme non suoni mai. Alle dogane, ai porti, negli organi di controllo, c’è comprensione: chi può dare una mano la dà. Le acciaierie hanno una fame disperata, e non guardano per il sottile. I loro fumi recuperati e le ceneri vanno ad aziende che hanno ancora più fame, come la sarda Portovesme che ogni anno si prende 40,000 tonnellate di residui di acciaieria, o l’orobica Ponte Nossa che se ne prende 150,000. Ma anche gli stabilimenti tedeschi della Befesa, il leader europeo dello zinco recuperato da polveri. E’ stato proprio l’irrigidimento nei controlli in questi terminali finali della catena del riciclaggio a creare le grane giudiziarie più grosse alle fonderie bresciane.
2) Il governo dà il suo contributo, e con leggi del 2002 e 2004 (indovina chi era il presidente) fa catalogare i rottami come “materie prime secondarie” e con ciò tutti i controlli a frontiere, porti, interporti, eccetera, diventano più laschi, non è richiesto che i singoli pezzi siano passati a setaccio in modo adeguato. Nel 2009 il nostro ordinamento recepisce una direttiva UE che obbliga le aziende che fanno uso di rottami (ma non i trasportatori) ad effettuare sorveglianza radiometrica in entrata (ma non in uscita). Questo le principali aziende lo facevano già da un pezzo per evitare il bis dell’incidente Alfa Acciai del ’97. Per quanto riguarda gli organismi pubblici la legge del 2009 recita “Le Amministrazioni ed i soggetti pubblici provvedono all’attuazione del presente decreto senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le dotazioni umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente” che io traduco in italiano: “Arrangiatevi”.
Già nel 1997 il Sottosegretario alla Sanità Monica Bettoni osserva: (a) I controlli alle frontiere sono “insufficienti” e carenti di “attrezzatura adeguata“. (b) Il più è scaricato sulle spalle delle aziende, ma è fuori luogo pretendere che un piccolo rottamatore di automobili possa dotarsi di quelle attrezzature adeguate. (c) I controlli sono frammentati tra Servizio Sanitario Nazionale, ANPA, Presidi Multizonali di Prevenzione, ARPA, ISPESL, Vigili del Fuoco, Regioni. Dal ’97 ad oggi poco è cambiato. Va però detto che, con un ingresso di ferraglia equivalente a 150,000 vagoni ferroviari l’anno, controllare le frontiere “senza maggiori oneri” non è banale. E se lo stato non vuole spendere soldi extra, più che dire a tutti quelli che girano con un camice o una divisa “dai un’occhiata anche tu” non si può fare.
3) Ci sono anche un problema tecnico ed uno legale. Il portale rivela la radioattività esterna. Se metto il reattore di Chernobyl dentro una scatola di piombo è possibile che il portale non se ne accorga. E se la scatola è in un contenitore sigillato, io non vedo il piombo e non fiuto la trappola. Se ricevo un pacco sigillato, quello diventa legalmente mio nel momento in cui rompo i sigilli e lo apro. Quindi non posso verificare di avere per le mani una porcheria fino a che non ne divento il proprietario responsabile. A quel punto però, se una azienda non viene aiutata le spese di gestione del problema sono enormi. In compenso, la legge non obbliga l’azienda ad un controllo capillare pezzo per pezzo. E non la obbliga al controllo in uscita. In pratica la legge dice: “ragazzi, a voi i rottami fanno comodo, e controllarli costa a voi e costa a me, quindi svegliatevi e facciamo a capirci”. Da un punto di vista operativo, la fonderia deve far passare tutto attraverso i portali, che effettivamente un po’ di carichi all’anno li fermano e li rispediscono al mittente. Il quale in tal modo può darsi una regolata prima di rispedirli. La “difesa” fondamentale per una fonderia è filtrare rigorosamente i fumi.
Un perdita di radioattività nell’aria sarebbe un disastro in stile Algeciras (vedi più avanti), con risonanza mondiale e costi incalcolabili. Se i filtri funzionano a dovere questa radioattività aerea (tipicamente Cesio che è un materiale leggero) viene recuperata nei fumi di abbattimento e assieme a quelli va a finire alla Ponte Nossa, alla Portovesme, alla Befesa, aziende che riutilizzano questi fumi per estrarne zinco ed altri materiali pregiati. Queste aziende a loro volta avranno adottato da tempo una “linea politica” relativamente alla gestione di questi carichi che saranno un po’ sporchi ma fanno comodo. Quindi ne pizzicano qualcuno ogni tanto, per far vedere al mondo che si vigila, ma senza esagerare. Come ultimo passo, la radioattività nei pezzi finali destinati al commercio (sia prodotti dalle fonderie che dalle aziende di recupero fumi) dovrà essere sufficientemente “diluita” da non insospettire troppo. La legge italiana non obbliga ai controlli in uscita. Questi “pezzi leggermente sporchi” finiranno in manufatti complessi (non so, un’automobile). Nessuno prenderà mai un contatore Geiger per passare al setaccio tutti i pezzi del motore di una macchina.
Notiamo che il risultato finale di questa filiera è che un certo numero di Fukushime vengono pazientemente “spalmate” sul territorio e nelle manifatture di una regione. Con “un certo numero di Fukushime” intendo le centrali intere, pezzo su pezzo. Guardate le foto di Fukushima e pensatela fatta a pezzi e ripartita su auto, biciclette, frigoriferi, tubi, discariche. Quando invece un residuo di fusione viene ufficialmente riconosciuto come contaminato, vanno ad un sito nazionale alla Casaccia gestito dalla Nucleco (che è un’emanazione della Sogen, l’azienda pubblica addetta ai resti del nucleare italiano), oppure finisce in alcuni siti di stoccaggio gestiti dalle fonderie stesse. In zona abbiamo i depositi dell’Alfa Acciai a Brescia, delle Acciaierie Venete a Sarezzo, della Rivadossi Metalli a Lumezzane, che sono considerati siti ben gestiti. La Metalli-Capra usa come deposito una cava a Capriano del Colle, che anni fa fu sequestrata dal NOE. Ne seguì una risistemazione incisiva da parte dell’azienda ed ora la cava è considerata un sito sicuro (fa però paura il progetto di affiancare alla cava un deposito di metano). In questi siti sono stoccate 20,000 tonnellate “etichettate” di ceneri radioattive da fusione. Infine c’è la cava ex-Piccinelli di Brescia, che almeno dal 1994 gode della qualifica ufficializzata di “discarica nucleare abusiva”. Quattro anni dopo la Nucleco ci mette dei teli isolanti garantiti per due anni, e tutto rimane lì, senza sorveglianza, coi teli che si disfano, nuova munnezza che si aggiunge discretamente alla vecchia, e il Cesio che pazientemente sgocciola verso le falde. Si spera che dopo lo scandalo recente il comune si decida a dare una sistemata alla cosa. Potrebbe finire con un bel business alla Bresciana: il quinto sito ufficiale di stoccaggio nucleare della zona, pronto ad accogliere le porcherie di chi non ha i mezzi dell’Alfa Acciai per attrezzarsi in proprio. Il fatto che nessuno sembri avere fiutato l’opportunità fa venire il dubbio che i siti per lo stoccaggio di scorie nucleari in giro già ci siano, a prezzi stracciati.
4) Da dove vengono i rottami contaminati, e da dove potrebbero venire in futuro? A livello europeo L’Italia è il secondo produttore metallurgico ed il primo importatore di rottami, ricchi di alluminio, ferro, e varie altre materie selezionate come il rame e l’ottone. Al momento la ferraglia, oltre che dall’Italia stessa, arriva dai quattro punti cardinali, ma soprattutto dall’Europa dell’est e dalla Cina. Per gli episodi che hanno coinvolto le Acciaierie Venete di Sarezzo, i pezzi contaminati si crede siano venuti dalle repubbliche Caucasiche, dall’area del Caspio, e dall’Ucraina. La Beltrame di Vicenza ricevette dalla Italrecuperi di Pozzuoli rottami contenenti fusti con Cesio di provenienza Americana. Dalla Cekia venivano i rottami che causarono il grave incidente all’Alfa Acciai del ’97. Per quello della Capra Metalli si sospettò la Polonia. Il mondo è pieno di centrali, sottomarini, testate nucleari, smantellate o da smantellare. L’uranio e il plutonio recuperati hanno un loro mercato alla luce del sole, regolato dai trattati sul disarmo. Ma le parti metalliche esposte per anni a radiazione sono solo un impiccio ingestibile. Se qualcuno viene a rubarsele, non è il caso di sparagli addosso.
Due filoni meritano attenzione:
(a) Con un accordo del 2003, l’Italia partecipa al disarmo e alla messa in sicurezza dell’apparato militare nucleare russo. L’accordo ha una sua logica nella politica di amicizia post-guerra fredda. Ci mettiamo soldi (tanti), tecnologia, manodopera, ma in teoria dovremmo “solo” sezionare oggetti radioattivi, e rimuoverli dalle basi navali in abbandono dei mari russi settentrionali, per portarli ad un sito unico meglio sorvegliato nella penisola di Kola. Insomma, ci passano per le mani 117 sottomarini nucleari, un incrociatore nucleare, una miriade di pezzi di basi navali, e abbiamo una gran fame di rottami….. praticamente è come se una pasticceria desse ad un affamato il compito di portare al cassonetto i dolci avanzati a fine giornata.
(b) A Chernobyl c’erano 8 milioni di tonnellate di carcasse inavvicinabili (bulldozer, veicoli, elicotteri, baracche, impianti). Da quella zona recintata e sorvegliata ufficialmente non esce un ago, e però gli 8 milioni sono misteriosamente diventati 2, e continuano a dileguarsi ad un ritmo che tra dieci anni non c’è più niente. Le autorità ucraine sembrano aver stipulato un tacito patto coi trafficanti: pagate il pizzo e portateli più lontano possibile. Per il futuro invece i veri problemi sono la denuclearizzazione di alcuni paesi, Germania in testa, e l’arrivo al capolinea delle centrali di seconda generazione costruite in Francia e in quasi tutto il mondo industrializzato. Certi impianti di grande dimensione vanno considerati delle “Chernobyl pacifiche”: in una vita di regolare funzionamento hanno distribuito in modo controllato la radioattività di un grosso incidente nucleare. Eliminare e bonificare una centrale delle dimensioni di Fukushima costerà decine di miliardi di Euro. Se qualcuno quella centrale la “rubasse”, la Tepco organizzerebbe una processione di ringraziamento fino alla cima del FujiYama.
5) Che succede quando le cose vanno storte? A Sheffield un piccolo quantitativo di plutonio proveniente da un pacemaker (meno di un grammo, impossibile da scoprire a monte) è stato fuso in mezzo a 16 ton di acciaio: 3 milioni di euro di danni. Ad Algeciras (vicino Gibilterra) del Cesio proveniente da un impianto nucleare è finito fuso in mezzo al metallo di una acciaieria, e non è stato trattenuto dai filtri dei fumi. Come conseguenza livelli di radioattività 1000 volte il normale sono stati misurati in Germania, Italia, Austria: 20 milioni di euro di danni. Negli USA il danno medio per questo tipo di incidenti è stimato 10 milioni di dollari. Nel 97 l’Alfa Acciai dovette cacciare 20 milioni di euro (oltre ai guai giudiziari per la prevenzione un po’ troppo allegra). Questo fu uno degli incidenti Italiani più costosi, ed obbligò il “sistema” a dotarsi di una rete di controlli migliori…. o di tecniche di elusione meglio organizzate? Difficile valutare. Fatto sta che da allora gli incidenti sono meno frequenti e meno spettacolari.
Un punto che fa riflettere è che tutte le segnalazioni nascono da eventi molto accidentali. Nel caso del Cesio della cava ex-Piccinelli, la radioattività stava nelle ruote di un TIR passato per la cava, che tempo dopo era entrato alla Alfa Acciai (che qui non c’entrava nulla, ma aveva i contatori all’ingresso) e aveva attivato i detector. Nel grave caso Alfa Acciai del 1997, la radioattività contaminò pesantemente alcuni comparti e prodotti della fabbrica, ma fu rivelata solo all’impianto di ritrattamento di Ponte Nossa dove l’Alfa Acciai mandava le polveri recuperate dai filtri dei suoi fumi. Nell’epicentro bresciano del problema nessuno segnalò inizialmente niente, benché mezza azienda fosse contaminata. Sempre a Ponte Nossa si scoprì nel 2007 la radioattività dei fumi ricevuti da Sarezzo, e questo permise di bloccare a Genova i fumi radioattivi spediti sempre da Sarezzo verso la Portovesme. Nell’ultimo scandalo i fumi radioattivi partiti dall’Alfa Acciai sono stati individuati solo alla destinazione Portovesme. In ognuna di queste situazioni in cui per puro caso “becchi” un carico, ti rendi conto che questo è per magia riuscito a passare tutti i controlli a monte. Quindi è evidente che quello che si individua è la punta di un iceberg di ben altre proporzioni. Nelle parole di un ambientalista sardo di lungo corso, Vincenzo Migaleddu, una rete di controlli che in gran parte sta nelle mani delle aziende stesse ha efficacia limitata, perché controllori e controllati sono tutt’uno.
6) Vista la situazione, è forte la tentazione di dire: qui c’è poco da fare, la radioattività ce la teniamo e pazienza.
Prima di accettare la convivenza col Cesio come una sorta di male minore, alcune considerazioni. In una discarica abusiva, un prodotto radioattivo ne tira un altro, perché la presenza del primo rende difficile identificare l’arrivo del secondo. Sul territorio gli scarti radioattivi si accumulano, e la radioattività cumulativa aumenta. Progressivamente, tanto il rischio di incidente spettacolare, quanto l’effetto da esposizione cronica, crescono. Anche se il testo è riportato da molti siti, consiglio di ascoltare con le proprie orecchie le interviste registrate sul sito di Radio Popolare sulla questione Cesio alla ex-Piccinelli: la prospettiva di un inquinamento radioattivo delle falde in territorio urbano viene snobbata dall’assessore all’ambiente e dalla responsabile Arpa con un “ma di che parlate?” e una risata. Reazioni in linea con la superficialità con cui dal 1994 viene lasciato dove sta un pesante elemento di rischio per la salute e l’economia della zona. La sensazione è che si sia diffusa in amministratori ed elettori la convinzione che certi problemi si possano gestire come il PM10, ossia fregandosene ed evitando eccessi di copertura mediatica. Quello che sfugge agli interessasti è di avere il potere di addomesticare i media e le agenzie locali, ma questo potere va poco oltre la Lombardia.
7) Gli incidenti da perdita radioattiva sono come le meteoriti: ogni tanto ne arriva una più grossa delle altre. Un incendio o una alluvione o una frana che investano un accumulo di prodotti radioattivi potrebbero essere la scintilla che dà fuoco alle polveri. Del resto fu un temporale di violenza eccezionale a far saltare il coperchio della pentola Caffaro. Ma rispetto alle contaminazioni da diossina, la radioattività ha un impatto mediatico devastante. Negli Stati Uniti, i principali produttori di acciaio si sono opposti alla legalizzazione di una “radioattività accettabile” in prodotti metallici che non vanno normalmente a contatto con le persone. L’osservazione è stata che il diffondersi nel consumatore di una percezione del prodotto metallico come potenziale portatore di radioattività avrebbe avuto pesanti ripercussioni sul mercato. In altre parole: nel momento in cui risultassero alti livelli di radiazione nell’acqua o nell’aria di Brescia, in tutti i supermercati d’Italia l’etichetta “non prodotto a Brescia” accompagnerebbe i prodotti alimentari e non. A differenza che nel caso del PM10, in presenza di un allarme da radioattività sarebbero gli ALTRI a pretendere misure o a venire a farle di persona: Greenpeace, le autorità internazionali, i governi dei paesi che importano prodotti da noi, o che stanno sottovento rispetto a noi, e per primi quelli a cui i nostri prodotti fanno concorrenza. La voce addomesticata delle nostra Arpa verrebbe sommersa da un rincorrersi di allarmi mediatici fuori controllo, magari ingiustificati ma di sicura presa. Il 75 percento della regione sgomberata attorno a Fukushima è meno pericoloso del distretto a sud della Caffaro, ma a differenza della diossina la radioattività mette i governi con le spalle al muro: arrivano i signori con la tuta bianca e la maschera, e transennano tutto.
La radioattività si misura anche in dosi piccolissime…. a patto di cercarla. Sotto una certa dose infatti non uccide nessuno SUL MOMENTO. Quando una sostanza radioattiva viene diluita a sufficienza in un territorio, gli effetti sulla salute saranno devastanti, ma a distanza di decenni. Gli effetti di una esposizione permanente a dosi piccole (ma comunque innaturali) di radiazioni sono un problema scientifico difficile. Uno dei pochi casi ben studiati è quello del Thorotrast, un liquido da contrasto per radiografie iniettato in molte migliaia di pazienti tra il 1935 ed il 1960. La sostanza conteneva Torio debolmente radioattivo, che si fissava in certi organi e ci restava in eterno. Il primo tumore chiaramente attribuibile al Thorotrast è del 1947, in una paziente alla quale questo liquido era stato somministrato dodici anni prima. Un difficile lavoro di statistica portò a dimostrare una maggiore incidenza di certi tipi di tumore, che colpivano gli ex-pazienti decenni dopo l’inoculazione. Questo è un caso molto speciale, nel senso che è stato possibile a distanza di decenni dimostrare il collegamento Thorotrast-tumore. Perché ci sono le cartelle cliniche, che ci dicono che in una data precisa una certa quantità di Thorotrast è stata iniettata in un paziente. Perché è possibile analizzare i tessuti malati e dimostrare l’esistenza di Torio e la presenza delle tracce di particelle alfa nei punti dove è iniziata la malattia. E perché tra le conseguenze ci sono tipi di tumore che senza il Thorotrast sono molto rari. Per una popolazione che vive all’interno di una “zona di pericolo”, e che si ammala di tumori al fegato o ai polmoni, non si potrà mai arrivare a relazioni causa-effetto altrettanto precise. Perché i tumori al fegato vengono anche a chi fa una vita sana, e quelli al polmone possono essere causati da altre forme di inquinamento dell’aria. Perché se una discarica viene usata da dieci operatori e cinque sono disonesti, la legge non può colpire indiscriminatamente tutti e dieci. Però la discarica può venir chiusa. In altre parole, a fronte di un rischio per la salute pubblica, devono essere prese immediate contromisure a livello politico ed amministrativo. Se questo non avviene, potranno ammalarsi migliaia di persone, ma il magistrato non potrà farci molto.
PER SAPERNE DI PIU’.
Fornisco alcune parole chiave che, inserite in un motore di ricerca, permettono velocemente di arrivare ai siti da cui si possono ottenere informazioni utili. Ovviamente sono scontati i vari Bresciaoggi eccetera.
Sulle questioni ambientali bresciane in generale: www.ambientebrescia.it è un importante sito di riferimento per i problemi dell’ambiente bresciano. Tra i curatori, Marino Ruzzenenti, alla cui testardaggine si deve il non riuscito affossamento dello scandalo Caffaro. Questo sito rimanda anche ad altri comitati impegnati per la difesa dell’ambiente e della salute dei Bresciani.
“pietro gorlani brescia” o “pietro gorlani vivicentro”: Gorlani è un altro autore di importanti inchieste sugli argomenti trattati.
bresciacontrolenocivita e il Co.Di.S.A. (Comitato Difesa Salute Ambiente S.Polo) rappresentano letteralmente la prima linea difensiva del cosiddetto “quadrilatero dei veleni”, sette km quadri tra S.Polo, Buffalora, S.Eufemia e Rezzato ridotti in condizioni da terzo mondo.
“il tour dei veleni a buffalora” sul sito brescia.corriere.it, e da lì partono i link ad una fila di video del corsera-brescia sullo stesso argomento.
“stefano montanari tesi” rimanda al pdf della tesi di laurea di S.Montanari, al Politecnico a Milano, utile fonte di dati e referenze sulla situazione dei rifiuti a Brescia tra i l2004 e il 2008, e sul ruolo dell’incineritore.
In questo articolo si fa il punto sulle tante indagini attualmente in corso alla Procura di Brescia sui reati ambientali https://194.244.4.156/cgil_bs/sito_cgil/public/news.php?type=news&id=2272
La ricerca “roberto migliori noe” porta ad alcune interviste o audizioni del comandante dei NOE di Brescia. In particolare in quella recente alla camera (in gran parte secretata) si lamentano i pasticci creati dal fatto che la regione abbia tolto la qualifica di ufficiale giudiziario agli ispettori dell’ARPA.
“arpa lombardia” per chi vuole divertirsi a cercare i dati sugli inquinanti della provincia. Buona fortuna.
quiBrescia, Bresciapoint.it, 247.libero.it, collezionano altri articoli utili (es. recenti: i malori alle elementari di Vighizzolo, le difficoltà del comparto metalmeccanico bresciano). Su “wired.it” la voce “ambiente” o “ambiente
brescia” rimandano a diversi articoli di interesse.
ISS (Istituto Superiore di Sanità). Nel motore di ricerca del sito si può digitare “brescia”. Purtroppo, per alcune importanti ricerche (es. Caffaro) il sito “gira” ai siti delle ASL e ARPA di Brescia, dove spesso i documenti non si trovano. Quindi è meglio ricercare documenti che siano reperibili sul sito dell’ISS stesso.
Sui rottami nucleari: Al seguente indirizzo si può ascoltare una versione commentata dell’intervista di radio popolare.
https://bracebracebrace.files.wordpress.com/2012/01/falda-bs-pericolo-cesio-137.mp3
“cava piccinelli brescia cesio” rimanda agli altri articoli sulla questione.
Per trovare articoli sugli incidenti di rilievo dal 97 ad oggi:
“Alfa acciai portovesme” “ponte nossa cesio”, “beltrame cesio”, “sarezzo cesio”. Per il disastro del 1997 conviene usare “alfa acciai cobalto”. La ricerca “alfa acciai cesio” porta invece ai casi più recenti.
Qui si riportavano le indagini sui traffico sistematico di rottami radioattivi tra le repubbliche baltiche e la lombardia.
https://archiviostorico.corriere.it/2008/febbraio/01/Cesio_giallo_del_camion_radioattivo_co_7_080201044.shtml
www.zonanucleare.com riporta notizie utili sul nucleare italiano.
Al sito https://www.ildialogo.org/ambiente/notizie_1271423445.htm è riportata una famosa inchiesta di Bruno Masi per l’Espresso sul traffico di residui radioattivi dalla zona di Chernobyl.
L’articolo https://www.zonanucleare.com/news_000/2005/italia-russia_sottomarini_nucleari.htm descrivee l’accordo italia-russia per lo smaltimento di installazioni militari.
NFLA (Nuclear Free Local Authorities, sito in inglese). Per chi ha dimestichezza con l’inglese questo sito è una miniera di informazioni, sulle minacce da cui deve guardarsi un comune che voglia veramente sentirsi denuclearizzato. Nel motore di ricerca del sito stesso, la voce “scrap” porta agli articoli sul problema del riciclaggio in fonderia di rottami radioattivi.
Sempre per che si arrangia con l’inglese, la voce “radioactive jewelry finger” porta alla più assurda tra le tante storie di oggetti metallici contaminati (alcune decine di americani che negli anni ’80 ebbero tumori ed amputazioni alle dita per gioielli di oro radioattivo).
“thorotrast” rimanda ad uno dei casi meglio studiati degli effetti a lunga scadenza di una contaminazione interna da prodotti debolmente radioattivi. Molti sono articoli scientifici in inglese, ma si trovano anche discussioni in italiano.
Breve commento, perdonate se piuttosto caustico, sulla creazione del sito di stoccaggio unico, e sul primo stanziamenteo per la ex-Piccinelli:
A certe condizioni, non si può che approvare. Come ho segnalato qualche mese fa in un lungo articolo sul sito di Radio Onda d’Urto, con l’attuale situazione prima o poi si verifica un pasticcio.
Soprattutto, è solo da applaudire che finalmente a Brescia qualcuno si renda conto che la radioattività non può essere gestita con lo “spirito del PM10”, ossia spegnendo le centraline e aspettando che’cchiova.
Nel momento in cui si verifica un certo tipo di incidente, il nome “Brescia” lo si trova pure sui giornali di Budapest, e sulle etichette di tutti i prodotti alimentari d’Italia: “non prodotto a Brescia”. E taroccare le misure non serve, perchè le vengono a fare gli altri, e siccome basta un contatore manuale avvicinato alle foglie di insalata, è la fine.
Fatto l’applauso, scattano i pomodori:
(1) Per quanto riguarda la ex-Piccinelli, con 350mila euro, si compra un appartamento da 200 mq: se bastasse questo per svuotare una discarica radioattiva, trasportare il materiale ad un sito specializzato, e pagare perchè se lo tengano sotto protezione, il problema delle centrali nucleari lo avremmo risolto da un pezzo. Lo stanziamento di una cifra di questo ordine conferma la volontà perversa del Comune di continuare ad eludere un suo dovere amministrativo primario ed urgente. E conferma che in Comune non sanno di cosa si stia parlando.
(2) Annunciare la creazione del megasito PRIMA di averne un minimo identificato la locazione, le modalità di realizzazione e di gestione, mi sembra il sistema ottimale per sollevare un gran polverone volutamente inconcludente.
(3) Se la soluzione è in stile termovalorizzatore, allora meglio tenersi la spazzatura radioattiva per strada. Ossia, un sito del genere non può e non deve assolutamente venir costruito come esclusiva solitaria di questo territorio. Se se ne realizza uno per ogni provincia industrializzata d’l’Italia, benissimo. Se se ne fa uno solo, questo inevitabilmente finirà con l’accogliere la spazzatura radioattiva di tutto il norditalia.
Relativamente all’ultimo punto, faccio presente che la costruzione di un silo con capacità uguale all’attuale mole di materiale da stoccare non ha senso: date le spese prevedibili, ha senso realizzarlo molto più grande, perchè possa accogliere la spazzatura radioattiva di qualche decennio a seguire. Questo però lo trasformerebbe in una potenziale fonte di guadagni
enormi ed immediati per un gestore che si rendesse disponibile ad accogliere materiale di provenienza esterna.
Con l’esperienza dei controlli semestrali sull’incineritore, dello spregiudicato utilizzo di esso per lucrare sulla spazzatura altrui, e della attuale diffcoltà nel controllare il transito di materiale radioattivo anche solo presso aziende private prive di grandi poteri di lobbying, possiamo immaginare che cosa accadrebbe una volta che una grossa amministrazione si trovasse per le mani una simile gallina dalle uova d’oro.
Saluti a tutti,
Andrea Bianconi
Andrea Bianconi è Docente di Fisica all’Universita’ di Brescia e scienziato dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Collaboratore di Radio Onda d’Urto è ospite fisso il lunedi’ mattina alle 11.00 nello spazio approfondimenti della nostra emittente.
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