Padova. Impianto a biomasse mai attivato. La Corte dei conti chiede oltre 10 milioni di danni
Il cogeneratore di Conselve
La centrale di cogenerazione a biomasse doveva essere il più grande impianto «green» del Veneto. Si è rivelata la peggiore cattedrale nel deserto della Bassa padovana: mai entrata in funzione. E ora la Procura regionale della Corte dei Conti intima di pagare il danno: sono 10 milioni 616 mila 620 euro e 37 cent.
Il «bussolotto» nella zona industriale di Conselve, a ridosso del confine con Bagnoli, era stato appaltato nel 2007 a Consta, il consorzio edile della Compagnia delle Opere. Dall’Europa erano arrivati 2,6 milioni di finanziamento per un progetto che superava gli 8 milioni e destinato a costarne 13. Sulla carta, il cogeneratore nell’area di 17 mila metri quadri in mezzo alla campagna avrebbe dovuto produrre 5,3 megawatt di energia elettrica bruciando 9.360 tonnellate di olio vegetale grezzo. Di fatto, costruito l’impianto nessuno (come previsto) è stato in grado di rispettare gli impegni. Una storia che il manifesto aveva raccontato fin dall’inizio, nel marzo 2009. Nel frattempo, il Consorzio per lo sviluppo del Conselvano (creatura bipartisan di amministratori votati ad interessi ben perimetrati) è stato travolto da inchieste giudiziarie, ballo del mattone e buchi di bilancio. Trasformato in Attiva Spa, ha travolto tutti in un crac da oltre 100 milioni di euro lasciando i comuni che avevano ceduto patrimonio (dalle reti del gas fino ai palazzi storici) con una montagna di debiti e la carta straccia delle azioni.
A conti fatti, dunque, un cogeneratore-truffa. E da Venezia sono partite le lettere del vice procuratore generale Alberto Mingarelli con la richiesta di saldare il danno erariale a 39 componenti l’ex Cosecon: cinque sindaci tuttora in carica (compreso Mario Rasi di Bagnoli), sei commercialisti, l’ex vice direttore generale della Cassa di risparmio Pierluigi Gambarotto, l’imprenditore Leonardo Cetera e l’ex sindaco democratico di Conselve Luciano Sguotti. «La predetta centrale risulta allo stato non funzionante da vari anni, per cui il procedimento finanziato con fondi pubblici non risulta avere raggiunto gli obiettivi per cui era stato erogato» certifica la Corte dei Conti. E’ il risultato dell’esposto-denuncia presentato anche alla Procura della Repubblica di Padova da Diego Boscarolo dell’associazione «Il Moraro di Bagnoli» e Luca Martinello consigliere comunale M5S.
E’ il risultato eloquente dello «sviluppo» declinato a Nord Est dove si anticipano i futuri assetti nazionali. Proprio il Cosecon rappresentava il laboratorio della sussidiarietà applicata al «governo» del territorio. Un Consorzio varato con la benedizione degli ex Dc berlusconiani e del ramo della Quercia business oriented. E dietro le quinte si intravvedeva la sintonia di interessi: Leo Padrin (ex presidente della CdO e planipotenziario di Galan) e Flavio Zanonato, il «Formigoni del Veneto» formato centrosinistra. Pronta all’investimento insieme ai Comuni l’intera filiera degli enti economici pubblici, delle associazioni di categoria e delle banche. Di fatto, la privatizzazione della Bassa padovana «riciclabile» a tutto campo; una mega-operazione immobiliare nelle pieghe dell’industrializzazione; ma soprattutto la gestione a pioggia dei finanziamenti europei che alimentavano settori paralleli come formazione, logistica e cooperazione.
Alla fine degli anni ‘90, a Bagnoli e Conselve c’era chi denunciava pubblicamente il gioco al massacro che si nascondeva dietro la facciata della sigla Cosecon. Ma nessuno voleva credere all’allarme dei cittadini riuniti in associazioni come «Il Moraro», comitati ambientalisti e gruppi alternativi. Il progetto associava sindaci di destra e di sinistra, enti pubblici e imprese, Regione e Provincia: contestare la cessione di sovranità dei beni in comune equivaleva a dimostrarsi i «soliti nemici dello sviluppo».
Ma il 20 luglio 2008 il sostituto procuratore Federica Baccaglini (supportata dalla Guardia di finanza, con gli uomini del maggiore Antonio Manfredi) ha rivelato il «giro» da 10 milioni di euro di appalti certificati a beneficio dei soliti noti. In manette sono finiti Roberto Dalla Libera, direttore generale di Cosecon; Andrea Breda, capo dell’ufficiotecnico e Silvia Ginasi, responsabile delle gare d’appalto. Arrestato mentre stava per andare in vacanza a Santo Domingo, il dirigente della Regione Luigi Destro. Stesso provvedimento restrittivo per due imprenditori edili: Paolo Garofolin e Francesco Gerotto. Per tutti l’accusa di truffa aggravata ai danni dello Stato e dell’Unione europea, concussione, falsità ideologica e materiale. E indagati a piede libero tre professionisti che hanno diretto i cantieri Cosecon: Mauro Sarti, Francesco Calgaro e Andrea Fochesato. Rispettivamente, l’ex assessore Ds all’urbanistica a Cadoneghe, il segretario amministrativo provinciale dell’Udc e il figlio del «superconsulente» del presidente della Provincia, Vittorio Casarin.
E adesso il cerchio giudiziario si chiude con la contabilità del danno procurato solo dal simulacro di cogeneratore. Ma il fallimento dell’ex Cosecon in Tribunale «vale» dieci volte tanto. In sostanza, la Bassa è già nelle mani delle banche che hanno ipotecato il patrimonio. Tocca ai liquidatori gestire l’eredità di Attiva Spa affidata a Michele Gambato, dirigente della Regione e all’epoca presidente degli industriali di Rovigo, e Monica Manto, ex funzionario del Consorzio zona industriale di Padova e ora direttrice generale del Centro Veneto Servizi a Monselice.
Fra i capannoni svuotati dalla crisi, nel limbo spicca l’opera in cemento della compagnia sussidiaria alle lobby. Il cogeneratore d’oro: vuoto, inutile, già vecchio e scandalosamente dimenticato. Una specie di monumento ai rapinatori di certezze costituzionali. La fidejussione in bianco a futura memoria. L’emblema di chi amministra slot machines. L’altare del peccato mortale. Ma anche, per fortuna, il «set» del docu-film «Nel mio giardino» firmato da Cristian Cesaro, Fabio Lessio, Santo Bruno e Davide Donnola. Immagini in presa diretta, testimonianze civili, inchiesta panoramica. Dopo i festival, comincia a girare meglio di un dossier oltre i confini della Bassa padovana.