TARANTO: CLASS ACTION CONTRO L’ILVA

Come ampiamente previsto, sarà ancora una volta il gip del Tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, a decidere sulla richiesta avanzata venerdì scorso dall’Ilva, di poter continuare a marciare con una minima capacità produttiva degli impianti sequestrati dallo stesso giudice il 25 luglio scorso nell’ambito dell’inchiesta sul presunto inquinamento ambientale. Eppure, il primo dubbio sulle reali volontà dell’azienda, oltre che sulla sua onestà, sta proprio in quella “minima capacità produttiva”, messa pesantemente in discussione ieri da Francesco Rizzo, Unione sindacale di base (Usb), che ha accusato l’Ilva di produrre in questi giorni come mai avvenuto prima d’ora. “Ieri in azienda si è prodotto l’ennesimo record di 80 colate”.

Un atteggiamento che se confermato, sarebbe l’ulteriore prova di come l’Ilva stia mettendo da parte quante più scorte possibili, per “sopravvivere” di fronte ad un’eventuale fermata degli impianti produttivi. La parola torna dunque al GIP, dopo che ieri la Procura della Repubblica ha espresso parere negativo, basandosi anche sulle indicazioni della relazione molto articolata e minuziosa stilata dai custodi-amministratori giudiziari (Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento) sul piano di interventi (che prevede investimenti per circa 400 milioni di euro) presentato venerdì scorso ai magistrati dal presidente del Cda dell’Ilva Bruno Ferrante.

Già nella giornata di giovedì i custodi avevano dato il loro parere negativo sul piano degli interventi redatto dall’azienda, giudicandoli insufficienti rispetto alle disposizioni molto dettagliate e precise (spegnimento e/o rifacimento della quasi totalità degli impianti) che gli stessi custodi hanno notificato lunedì sera ai capi area del siderurgico. “Il parere della Procura è in linea con quello dei custodi” si legge nel documento dei magistrati. Che sottoscrivono quanto relazionato dai custodi, che avevano giudicato gli interventi proposti dell’azienda “assolutamente inadeguati per fermare le emissioni inquinanti dagli impianti”, ed avevano richiamato il presidente Ilva Bruno Ferrante, nel suo ruolo di custode amministrativo, alla predisposizione di un piano per l’impiego del personale nelle opere di risanamento degli impianti e bonifica delle aree sequestrate.

La Procura ha espresso parere negativo anche per quanto concerne la richiesta di facoltà d’uso ai fini produttivi avanzata dall’azienda, che sostiene come la fabbrica debba produrre per rendere sostenibili gli investimenti. Sostenendo anche la tesi secondo cui il tribunale del Riesame, quando parla di “salvaguardia degli impianti visti gli enormi interessi in gioco”, sottintenda una presunta facoltà d’uso. Dimenticando però che i giudici del tribunale, oltre a confermare la non facoltà d’uso, anteponevano a ciò il risanamento degli impianti perché prioritaria l’eliminazione delle emissioni diffuse e fuggitive provenienti proprio da quegli impianti che l’Ilva vorrebbe continuare ad utilizzare per portare avanti la produzione dell’acciaio.

Nel provvedimento notificato all’Ilva lunedì scorso, e sposato in toto dalla Procura, i custodi giudiziari hanno disposto ai responsabili d’area dell’Ilva “l’adozione delle misure necessarie alla messa in sicurezza per lo spegnimento degli impianti indicati”. Il piano, si dipana area per area e stabilisce dismissione e bonifica delle aree relative alle batterie 1 e 2, spegnimento forni relativi alle batterie 3-4, 5-6, 9-10 e 11 e completo rifacimento delle stesse, interventi di adeguamento alla batterie 12, completo rifacimento delle torri di spegnimento 1, 3, 4, 5, 6 e 7.

Nell’ambito delle misure per le batterie 7-8 e 12 “dovrà essere effettuata una campagna di monitoraggio per la verifica della conformità delle emissioni ai valori limiti”. Per l’area altiforni, invece, i custodi dispongono “spegnimento altiforni e completo rifacimento degli stessi” e “interventi di adeguamento degli altiforni”. Il dettaglio delle misure per quest’area prevede: dismissione e bonifica dell’altoforno 3 o completo rifacimento; spegnimento e completo rifacimento altoforno 1; spegnimento e completo rifacimento altoforno 5. Per l’adeguamento degli altiforni si chiede invece il miglioramento del sistema di captazione e depolverazione altiforni 1 e 2, il miglioramento della captazione emissioni campo di colata altiforni 1, 2 e 5, l’adozione di un nuovo sistema di granulazione loppa con relativo circuito acqua e condensazione dei vapori per altiforni 1 e 5, l’adozione di un sistema per la limitazione delle emissioni diffuse dallo scarico della sacca a polvere dell’altoforno 2.

Per le acciaierie i custodi dispongono per la 1 l’adeguamento del sistema di depolverazione secondaria e l’adeguamento della desolforazione della ghisa in siviera. Interventi strutturali vengono poi indicati per l’acciaieria 2, con adeguamento della desolforazione della ghisa in siviera. Si dispone inoltre l’adozione di “sistemi di aspirazione delle emissioni diffuse e contenimento delle scorie diffuse incandescenti”. Un capitolo della disposizione dei custodi è poi dedicato alle batterie delle cokerie. “Si ritiene necessario dover procedere – scrivono i custodi all’Ilva – alla dismissione delle batterie 1 e 2 con relativa bonifica delle aree di competenza, al completo rifacimento delle batterie 3, 4, 5, 6, 9, 10 e 11, agli interventi sostanziali delle batterie 7, 8 e 12.

Tali interventi – viene puntualizzato – presuppongono il necessario spegnimento della quasi totalità dei forni che costituiscono le batterie 3, 4, 5, 6, 9, 10 e 11 ed in ogni caso lo spegnimento dei restanti forni afferenti alle batterie 7, 8 e 12”. I custodi dispongono ai responsabili di area “di provvedere all’individuazione delle opportune risorse umane, tecnologiche e amministrative interne allo stabilimento o di gruppo,sia che siano da individuarsi all’esterno, necessarie per mettere in sicurezza gli impianti e porre in essere le disposizioni”.

Il tutto, è bene ricordarlo, con l’obiettivo di far cessare “l’attività criminosa in corso e, dunque, le emissioni inquinanti derivanti dalla produzione di acciaio”. Nonostante tutto questo, l’Ilva pretende che le sia concessa la facoltà d’uso su questi impianti per continuare a produrre. Senza dimenticare che nella famosa “minima capacità produttiva”, rientrerebbero ovviamente anche i minerali e le materie prime dei parchi minerali, sottoposti a tutt’oggi al blocco dei rifornimenti imposto dai custodi giudiziari due settimane orsono.

E’ bene ricordare che il parere dei pm é obbligatorio, ma non è vincolante per il GIP. Quest’ultimo è stato chiamato a decidere per un semplice motivo: poiché se fosse concessa la facoltà d’uso, si tratterebbe, secondo la Procura, di una modifica sostanziale del provvedimento emesso dalla stessa Todisco. Dopo la decisione dello stesso gip, attesa per la prossima settimana, quasi certamente entro lunedì, le parti interessate, l’azienda e la Procura stessa, potranno eventualmente fare ricorso al Tribunale del Riesame. La partita è ancora molto lunga, ma il vincitore, è bene saperlo, sarà soltanto uno.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 22 settembre 2912)

 

Intanto una decina di cittadini di Taranto ha deciso di avviare una ‘class action’ contro l’Ilva chiedendo il risarcimento per “danni materiali, fisiologici, biologici ed esistenziali” e sollecitando il sequestro conservativo di beni immobili e immobili facenti capo ai legali rappresentanti dell’azienda. Lo ha annunciato ai giornalisti l’avv.Giuseppe Lecce a cui si sono rivolti cittadini che hanno contratto malattie e familiari di persone decedute per patologie legate all’inquinamento, ma anche diportisti e commercianti, come il titolare di un vivaio, che si trova nell’area di passaggio del nastro trasportatori dell’Ilva, che ritengono di aver subito danni materiali.

 Il legale ha reso noto che già oggi invierà tramite fax al Tribunale di Taranto l’esposto per l’azione collettiva, “strumento – ha sottolineato – che consente pretese risarcitorie nei confronti di aziende e multinazionali, in questo caso l’Ilva spa, atteso che si tratta di illeciti plurioffensivi che sono stati compiuti nei confronti di più soggetti”. L’avv.Lecce fa riferimento innanzitutto all’inchiesta della Procura per disastro ambientale, sfociata nel sequestro degli impianti dell’area a caldo e osserva che “l’incessante e prolungata emissione di sostanze tossiche e nocive da oltre un ventennio incide in maniera diretta sulla salute dei lavoratori e dell’intera collettività, a tal punto da potersi ritenere quale causa primaria dell’elevato tasso di malattie e mortalità”.

 “Così come accaduto per il processo Thyssenkrupp, culminato con le sentenze di condanna per i vertici aziendali, chiederemo alla Procura di Taranto di valutare l’opportunità di contestare, oltre alle lesioni colpose, al danneggiamento e al getto pericoloso di cose, anche il reato di omicidio volontario con dolo eventuale a carico dei rappresentanti legali dell’Ilva finiti sotto inchiesta”. Lo ha detto ancora l’avv.Giuseppe Lecce spiegando che oltre ad avviare la ‘class action’ in sede civile, presenterà nei prossimi giorni denunce per conto di una decina di cittadini. “Nelle motivazioni del Tribunale del riesame – rileva – vi é un passaggio molto interessante dal quale emerge in modo inequivocabile come i legali rappresentanti dell’Ilva fossero pienamente consapevoli che l’attività produttiva nel suo complesso e la sua organizzazione di mezzi e tecniche fosse esercitata in piena violazione delle leggi in materia di sicurezza ed inquinamento”. “Secondo noi – aggiunge il legale – l’Ilva avrebbe coscientemente risparmiato sulla sicurezza degli impianti omettendo di apprestare o predisporre dispositivi tali da contenere entro i limiti previsti l’emissione di gas, fumi, polveri ed esalazioni e quindi ha inquinato con la consapevolezza che tale attività industriale avrebbe potuto cagionare la morte sia dei lavoratori che dell’intera collettività”.

 L’avv.Lecce ha sottolineato che l’inquinamento prodotto dall’Ilva crea danni non solo al rione Tamburi, ma anche alla città vecchia, al borgo e al quartiere Paolo VI. Ha anche fatto presente che “un altro dato che genera allarme è rappresentato dalle modalità con le quali viene effettuato il prelievo e il trasporto delle materie prime utilizzate per l’attività industriale”. “Vengono riposte nei nastri trasportatori in superficie – ha detto – e attraversano l’area demaniale di competenza dell’Autorità portuale di Taranto e la zona Punta Rondinella”. Queste modalità di approvvigionamento di risorse, secondo il legale, “sono altamente inquinanti poiché non sono state predisposte alcune misure tecniche per evitare il gettito di sostanze pericolose. E’ sufficiente attraversare il rondò sull’intersezione della statale 106 jonica e proseguire verso il Ponte di pietra per rendersi conto di come gli edifici siano visibilmente imbrattati di un colore rossastro rinveniente dalla polveri del trasporto di minerali”. Nella zona interessata, porto e Taranto Croce, sono insediate numerose attività produttive e commerciali e sul lato di Mar Grande, precisa l’avv.Lecce, insistono “due moli ove sono ormeggiate imbarcazioni da diporto che vengono investite ininterrottamente dallo spolverio dei minerali, così riportando danni talora anche irreversibili”.

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