Ex Sisas – Un caso emblematico

discarica_nerofumo_GPspagna38 indagati e 6 arrestati per truffa aggravata, corruzione, traffico illecito di rifiuti. Stiamo parlando dell’ex Sisas, il polo chimico di Rodano e Pioltello che a ormai 13 anni dal suo fallimento continua a far parlare di sé. Da diversi decenni causa di preoccupazione per cittadini e associazioni ambientaliste, questo vero e proprio colosso della sintesi plastica è tornato sotto i riflettori per un’inchiesta giudiziaria che ha portato sul banco degli imputati numerosi funzionari pubblici.

Ma la vicenda dell’ex Sisas, prima che con le Procure, è una vicenda che ha che fare con la salute dei cittadini, con la mancata bonifica dei siti industriali, con le innumerevoli “soluzioni” emergenziali e commissariali sciorinate dallo stato per la gestione dei rifiuti, con la partecipazione dei cittadini alle scelte che riguardano il territorio, con la corruzione nel fruttuosissimo settore dello smaltimento di scorie industriali.

Ma procediamo con ordine.

La Sisas

Nata nel 1947 per la produzione di acetilene, la Sisas – Società italiana serie acetica sintetica” – estende la propria attività specializzandosi nella sintesi di materie plastiche e nel frazionamento dell’aria e la commercializzazione di azoto e ossigeno, accumulando debiti per oltre 1000 miliardi delle vecchie lire (fonte l’Espresso).

Gli interventi dei tribunali

Nel 1986, ben prima del fallimento dell’azienda, risalente al 2001, per la società arriva la prima sentenza da parte del Tribunale di Milano che condanna la famiglia Falciola (fondatrice della Sisas) alla bonifica del sito.

I cittadini e le associazioni che il caso Sisas l’hanno vissuto sulla propria pelle fin dalle origini, non avevano certamente bisogno di aspettare che i tribunali si esprimessero per esigere che l’area venisse bonificata dalla società che per decenni l’aveva inquinata. Ma tant’è, che persino la sentenza che condannava la famiglia Falciola alla bonifica fu disattesa e, dopo una prima procedura d’infrazione risalente al 2002, nel 2004 l’Italia viene condannata dalla Commissione Europea per la violazione della normativa comunitaria relativa all’obbligo di autorizzazione delle discariche e di prevenzione dei danni all’ambiente, all’atmosfera e alla salute umana.

Il commissariamento

Oltre al danno – la convivenza con i rifiuti tossici – per i cittadini arriva quindi anche la beffa: la condanna a pagare di tasca propria (ovvero attraverso soldi pubblici) per la mancata bonifica dell’area da parte della società. E non è tutto, perché le disgrazie, si sa, non vengono mai da sole: la condanna da parte dell’Europa ha infatti come diretta conseguenza anche la nomina da parte del Governo di un Commissario delegato per il completamento delle attività di smaltimento, Luigi Pelaggi, oggi noto anche per le indagini sul caso Ilva. Un vero affare per gli abitanti di Rodano e Pioltello.

L’appalto a Tr2 Estate

La storia continua e nel 2007 la bonifica viene affidata alla Tr2 Estate, società che annovera tra i dirigenti anche Giuseppe Grossi, noto ai più come il “re delle bonifiche” per il caso Santa Giulia di formigoniana memoria. Un’assegnazione, quella alla Tr2 Estate, che prevede in cambio del risanamento dell’area la cessione della stessa alla società a titolo gratuito e l’autorizzazione a edificarvi una serie d’immobili, tra cui un centro commerciale e un albergo. Il tutto per 120 milioni di euro, di cui 32 milioni versati da Regione Lombardia.

L’appalto a Daneco

L’accordo, però, salta prima del completamento della bonifica e il Commissario delegato indice un appalto per lo smaltimento dei rifiuti ancora presenti, gara che viene vinta da Daneco Impianti per 36,8 milioni di euro. Siamo nel 2010 e per evitare la maxi sanzione dell’Unione Europea, i lavori vanno conclusi entro il marzo 2011, una tempistica che fa gravare sul territorio il traffico di circa 100 camion al giorno.

Dove e come finiscono i rifiuti?

Il via vai di mezzi pesanti nell’area di Pioltello – attentamente monitorato da parte di popolazione e associazioni ambientaliste – porta alla luce un ennesimo abuso: secondo quanto denunciato da GreenPeace, infatti, i rifiuti pericolosi venivano in parte spediti in Spagna alla discarica andalusa di Nerva – già monitorata dalle associazioni ambientaliste per l’abitudine a smaltire senza il pre-trattamento previsto per quel codice di contaminanti – e in parte “parcheggiati” in varie discariche dislocate sul territorio italiano tra cui la Vallesabbia (Brescia), Saronno (Varese), Cornaredo (Milano) e la frazione Pogliani del comune di Chivasso (Torino).

Un finto successo

Mentre la sporcizia finisce quindi sotto il tappeto senza essere di fatto eliminata e mentre Pelaggi, stando alle indagini della magistratura, si intasca 700 mila euro, nel marzo 2011 il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, il commissario europeo all’Ambiente Janez Potocnik, il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, il prefetto Franco Gabrielli, capo per la protezione civile, e lo stesso commissario ministeriale Luigi Pelaggi annunciano in pompa magna la conclusione delle operazioni di bonifica. “Abbiamo fatto miracoli”, è la dichiarazione la Prestigiacomo, mentre Formigoni plaude a un vero e proprio “successo”.

Già, un successo per chi punta a trarre profitto da una gestione commissariale ed emergenziale dei rifiuti e delle bonifiche dei territori contaminati. Un successo per chi vive di speculazione facendo leva sulla mancanza di trasparenza e di partecipazione nella gestione dei territori. Un successo, per fortuna, continuamente minato dall’impegno di tutte quelle persone che ogni giorno si mettono in gioco in prima persona per prendersi cura degli spazi che vivono.

Un modello da cambiare

Contaminazione del territorio, traffico internazionale di rifiuti, ritardi nelle bonifiche, declassificazione delle sostanze pericolose da smaltire, soldi pubblici ingoiati nel vortice della corruzione, minacce di sanzioni dall’Unione Europea. E soprattutto: gestione emergenziale e commissariamenti per far fronte a un’urgenza lunga 30 anni.

Non c’è che dire: se esistesse un manuale della voracità dell’industria che nell’ultimo mezzo secolo ha avvelenato il territorio italiano, l’ex Sisas – il polo chimico con base a Piotello in attività dal 1947 al 2001 – rappresenterebbe un caso studio pressoché perfetto.

Perfetto, rispetto agli attori coinvolti nella vicenda: aziende spregiudicate, istituzioni conniventi, colletti bianchi corrotti, cittadini inascoltati.

Perfetto, per i tempi che ne scandiscono l’evoluzione e per gli spazi che invade: 50 anni di attività industriale con il perpetrato inquinamento di terra, di acqua e di aria, 30 anni di differimento della bonifica e traffico di rifiuti oltre i confini regionali e nazionali.

Perfetto, per il lascito che consegna al territorio: 280 mila tonnellate di rifiuti industriali da smaltire, 50 mila delle quali di nerofumo, l’inquinamento di un’area di 330 mila metri quadrati e una falda freatica a rischio contaminazione.

Perfetto, per gli abusi di potere, l’inefficienza e le rapine perpetrati attraverso una gestione emergenziale del territorio.

Perfetto, per il prezzo non monetizzabile di un reale pericolo per la salute umana, dal momento che, tanto per dirne una, una correlazione tra l’esposizione al nerofumo e l’insorgenza di disturbi cardiovascolari e cardiopolmonari è riconosciuta in primis dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. E non si tratta di allarmismi.

Perfetto, per il costo, anche economico, che questa vicenda si trascina dietro: un debito dell’azienda pari a 300 miliardi di lire, un costo per la bonifica a carico della collettività di centinaia di milioni di euro, un rischio di sanzione da parte dell’Europa di circa 400 milioni di euro (fonte Greenpeace), oltre ad un forte deprezzamento del valore dell’area.

Quindi, ammesso e non concesso che questo tipo di ragionamento ci interessi, perfettoanche per smentire chi si ostina a contrapporre a un fantomatico sviluppo dell’economia un necessario sacrificio di porzioni di territorio.

 

 

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