L’AMIANTO ? NESSUNO SA DOVE METTERLO

Sono passati venti anni dalla legge che lo ha messo al bando e sull’amianto sappiamo quasi tutto. Sappiamo che è devastante per la salute, che ha un tempo di incubazione lungo, e che le sue fibre non lasciano scampo. Sappiamo che ha ucciso migliaia di persone (ieri era la giornata mondiale in memoria delle sue vittime), e che altre sono in attesa inconsapevole (il picco delle morti è atteso dal 2015 al 2020). Sappiamo anche che chi lo ha prodotto, come nel caso della Eternit, lo ha fatto conoscendo la sua devastante pericolosità.

Eppure, venti anni dopo, nonostante tutte le nostre conoscenze, l’amianto è un killer sottovalutato. Ad oggi, ad esempio,non sappiamo in maniera certa quanti siano gli edifici da bonificare, le tonnellate da smaltire. Ci sono solo delle stime. Legambiente parla di circa 50mila edifici, 100 milioni di metri quadrati di strutture in cemento- amianto, 600mila metri cubi di amianto friabile. Il Cnr ha calcolato che ci sono oltre 32 milioni di tonnellate sul territorio. Tante, in ogni caso. Anche perché non sappiamo dove metterle.

Non lo sanno, ad esempio, in Lombardia. In Italia è la regione che ha più amianto di tutti e il caso più significativo per descrivere un’impasse nazionale. Eppure la Lombardia era partita per tempo. Nei primi anni del nuovo secolo decise che entro il 2016 avrebbe dovuto smaltirlo tutto. Per questo venne creato il Pral, il Piano Regionale Amianto in Lombardia, che avrebbe dovuto tracciare una tabella di marcia. Che però non c’è mai stata. È stato fatto un censimento, non completo però. Frutto di rilevamenti aerei fotografici e alla denuncia spontanea di molti cittadini. Anche se in difetto, il risultato finale ha evidenziato di 45mila siti con amianto (di cui 1660 con quello friabile, il più pericoloso). Di questi 28mila sono da bonificare, 8500 in fase di bonifica, mentre oltre 7mila sono quasi completamente bonificati.

Ma che fine fa l’amianto? In genere ci sono tre metodi per smaltirlo. Si può incenerire, inertizzare (ad esempio vetrificandolo) o mettere in discarica. Il primo procedimento è costoso e pericoloso (rilascia sostanze cancerogene), mentre il secondo è solo in fase progettuale. La discarica è il metodo più diffuso. L’amianto lombardo finisce in Germania per 120 euro a tonnellata. Non per molto però. I tedeschi hanno fatto sapere che fra tre anni le loro discariche saranno piene e dunque i lombardi dovranno cavarsela da soli. Come? Da tempo la Regione, per bocca dell’ Assessore al Territorio Daniele Belotti ha fatto sapere che potrà individuare i siti, ma poi lo smaltimento vero e proprio sarà una questione che riguarderà i privati. «Sarebbe un reato», ha detto Belotti il 13 marzo scorso «non autorizzare un legittimo progetto imprenditoriale se rispetta i criteri tecnici necessari ».

Ma nonostante la buona volontà in Lombardia l’unica discarica presente è a Cavriana in provincia di Mantova, ma è già satura da un bel pezzo. Un’altra è stata autorizzata a Montichiari, in provincia di Brescia, si chiama Ecoeternit e smaltirà 480mila metri cubi. Neanche un decimo dell’amianto certificato. E il resto? Il resto è tutto fermo. A Brescia (80mila metri cubi) l’iter è nelle mani de Tar, a Travagliato (435mila metri cubi) la procedura di valutazione di impatto ambientale è già stata completata, ma ancora niente si è mosso. E poi c’è il caso di Cappella Cantone, in provincia di Cremona, dove l’autorizzazione per 260mila metri cubi un una cava della Cavenord è stata bloccata dall’inchiesta della magistratura che ha portato in carcere per corruzione il vicepresidente del Consiglio lombardo già assessore all’Ambiente Nicola Cristiani.

Restano da definire le sorti delle discariche di Treviglio (nel bergamasco), CavaManara, Ferrera Erbognone e Gambolò (tutte e tre nel pavese). Per queste ultime tre c’è stata una mobilitazione generale della popolazione. Sono sorti una serie di comitati che hanno fatto sentire la loro voce. E chiesto una moratoria dell’iter. Gli abitanti dei tre paesi, a 15chilometri l’uno dall’altro, contrappongono al loro rifiuto non solo ragioni ambientali (quella è zona di risaie e si temono infiltrazioni) ma anche la mancanza di certezze. Vogliono discutere con la Regione della programmazione delle discariche, vogliono avere studi di tecnici e scientifici, come ci dice Marco Basati del comitato «No discarica, Mezzana Bigli», che supportino la possibilità di una simile programmazione.

In poche parole vogliono garanzie dalla politica. In un momento in cui la politica delega, come visto, ai privati. Che però non offrono la sicurezza necessaria. Un esempio? Dalle indagini su Cappella Cantone, la magistratura accertò, tra l’altro, che una parte dei rifiuti d’amianto che avrebbe dovuto essere smaltito in discarica andava a finire sotto l’autostrada Brebemi. I privati hanno interesse a massimizzare il profitto contenendo i costi. Eallora chi garantisce gli standard che una discarica di amianto dovrebbe avere?

In attesa di una risposta l’amianto resta lì. Aspettando di essere smaltito. Chissà per quanto.

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