Multiutility del Nord? No, grazie.

 

MULTIUTILITY DEL NORD? NO, GRAZIE! . Il dibattito promosso da COMITATO ACQUA PUBBLICA BRESCIA e FORUM ITALIANO DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA si è tenuto martedi 27 marzo a Brescia al Salone Buozzi della Camera del Lavoro. La proposta di creare una grande multiutility del nord si inserisce in questo quadro desolante, di crisi sociale, aconomica, ecologica.  Ripercorre la strada dei fallimenti testimoniati dai bilanci in debito di A2A*, Iren, Hera, ecc.; ci ripropone l’idea di vendere servizi essenziali per coprire buchi di bilancio; punta a superare i debiti delle aziende attraverso economie di scala. L’esito di questo tentativo di aumentare i profitti é la trasformazione di beni comuni come l’acqua, l’aria, il terrirorio e la salute dei cittadini in merci.

Si vuole continuare in una politica che vede l’acqua solo una fonte di profitti, l’energia solo come costruzione di sempre più grandi centrali elettriche e i rifiuti come combustibile per inceneritori. Non si vuol tenere conto che il 12 e 13 Giugno 27 milioni d’italiani hanno detto NO alla privatizzazione dei servizi pubblici locali, che hanno chiesto una gestione pubblica e partecipativa per i beni comuni. Per capire le ragioni di quest’operazione, per iniziare ad opporvisi è stato organizzato questo incontro a cui hanno partecipato LUCA MARTINELLI  giornalista della rivista “Altreconomia” e  MATTEO GADDI   esperto in materia di Acqua e gestione pubblica dei servizi

Andrea Bianconi collaboratore di Radio Onda d’Urto ha partecipato all’incontro e ha preparato per noi una sintetica e schematica rielaborazione del dibattito.  Qui puoi scaricare gli interventi audio

Sintesi dell’intervento di Matteo Gaddi:

L’intervento svaria molto, tra esperienze personali e divagazioni su dettagli connessi. Ma è riconoscibile una linea molto precisa, meglio espressa nel finale, e soprattutto nel finale del dibattito.

Analisi della situazione:

Rispetto al passato, l’unificazione tra diverse Utilities (già tutte risultato di altre unificazioni) ha tre elementi che rafforzano la fattibilità dell’operazione.
1) Il governo si è detto intenzionato a remare a favore.
2) La persona che porta avanti l’operazione, Tabacci, è uno che queste cose le sa portare a termine.
3) Si è risolta e semplificata la situazione Edison, con la divisione in un comparto gas (Edison) che passa ai Francesi, ed un comparto energia (Edipower), secondo operatore energetico nazionale, che resta alle Italiane (tutte coinvolte nell’operazione).

Problema n.1: Le ammninistrazioni dovranno per legge scendere al 40 % delle azioni subito, e al 30 % per il 2015. 30 % a piccoli azionisti, e il resto ad operatori che si profilano essere tutti a vocazione speculativa. Questi, non solo hanno interesse zero per l’aspetto “sociale” del servizio, ma hanno interesse scarso anche per l’aspetto industriale / produttivo. Questi campano di fluttuazioni del valore azionario, operazioni il cui respiro sono le ore, non gli anni.

Problema n.2: L’unificazione non ha alcuna logica industriale. Non c’è un solo comparto produttivo che acquisterebbe efficienza, e le attuali utilities coprono tipicamente settori differenti. La sola logica è quella di acquistare potere da far valere nelle gare, o nelle contrattazioni con gli altri operatori (tema su cui insiste nel dibattitto).

Problema n.3: Le tre aggreganti del nord metterebbero assieme un debito di 9 miliardi. Nel caso A2a il rapporto tra debito, fatturato e capitale è comunque presentabile, nel caso delle altre due no.

Proposta pratica (presentata alla fine dell’intervento, e poi del dibattito):

(a) lasciare “al suo destino” il settore energetico delle attuali utilities, che di fatto è già in buona parte “unificato” e “privatizzato” in Edipower. Per questo è forse immaginabile un rientro nella sfera pubblica attraverso un intervento di Cassa Depositi e Prestiti, ma in una situazione in cui il ruolo più o meno “sociale” di questa istituzione sia meglio chiarito che oggi.
(b) scorporare e dare piena gestione pubblica al settore “vitale”: cicli integrati di acqua e rifiuti. Anche questa operazione comporta però chiarire alcune ambiguità, senza le quali una gestione ad interesse privato la cacci dalla porta e rientra dalla finestra.
(c) l’obiettivo della strategia deve essere quello di impedire che acqua e rifiuti (che garantiscono entrate fisse) vengano usati come cassaforte per le oscillazioni di rendimento del comparto energia.
(d) occorre poi decidere se la parte energetica va gestita o meno dal publico. Se si vuole effettuare una transizione decisa verso nuove modalità di produzione/comsumo energetico, questa gestione pubblica è ineludibile.

L’ultima sua parte (nel dibattito) è la più interessante: lui è favorevole ad un riaccorpo delle utilities energetiche, ma sotto forte mano pubblica, perchè i “salti di paradigma energetico” sono associati ai passi avanti della civiltà industriale, e o lo facciamo o finiamo male. Un simile salto va gestito da un operatore forte, e votato all’interesse pubblico di lungo periodo.

Sintesi degli interventi di Luca Martinelli:

intervento e poi dibattito costituiti da una serie di spunti di discussione, più che attorno ad una linea operativa come nel caso precedente. Il più interessante di tutti è quello sul conflitto di interessi Intesa-geverno. Alcuni spunti da sottolineare:

1) La sensazione è che una finalità dell’unificazione sia superare l’impasse creato dal debito sulla manna dei dividendi. La nuova compagnia potrebbe scaricare il debito su alcuni comparti (si suggerisce l’idroelettrico) in modo da “alleggerirne” altri, che tornerebbero ad essere lucrosi per gli azionisti. Per chiarire il ruolo di debito e dividendi nella gestione passata di queste società si riporta il caso di IREN che nel 2010 ha distribuito dividendi pari al 176 % degli utili.
Nota: nel dibattito Matteo Gaddi commenta questo punto ma non ne sembra convinto. Lui non ritiene che il “deconsolidamento” del debito sia stata una priorità nel progetto di fusione, e ritiene che comunque questo debito sia gestibile sul medio periodo.

2) L’esperienza recente, e in ultimo le discussioni pre-referendarie, danno l’idea di una classe amministrativa che ormai concepisce il servizio pubblico solo come fonte di introiti, vuoi attraverso la vendita di servizi, vuoi attraverso le operazioni finanziarie connesse alla gestione. Il secondo dei quesiti sull’acqua in questo senso è stato visto come una pietrata in faccia.

3) Si va a creare una contraddizione tra il patto di stabilità interno e gli obblighi che l’Unione Europea impone sul livello di gestione di certi servizi. Noi siamo sotto e arriveranno le multe.

4) Punto molto insistito dell’intervento: in una situazione in cui in Italia non gira un euro, l’unico investitore a forte matrice pubblica con la massa d’urto per intervenire è la Cassa Depositi e Prestiti (130 miliardi di liquidità, costituiti dai libretti postali). Questa però si tova ad un bivio tra la concezione originale (prestiti ad impatto sociale sul territorio) e la recente evoluzione in una sorta di banca d’affari, centrata sulle partecipazioni azionarie. Ossia, a fronte di una privatizzazione formale relativamente modesta (30 % delle azioni in mani non pubbliche), l’istituto viene gestito come una finanziaria privata finalizzata al massimo profitto, senza più l’aggancio ad una missione.

5) La partita si mescola con altre due partite nelle quali compaiono gli stessi protagonisti: autostrade e aeroporti.

6) Nel successivo dibattito, il punto secondo me più interessante espresso da LM (in risposta ad una domanda) è il grosso conflitto di interessi creato dalla coppia Passera-Ciaccia al ministero Infrastrutture e Sviluppo. Ciaccia è direttore di BIIS, emanazione di Intesa-SP, banca che prende soldi da banche (non emette obbligazioni) e li presta allo stato e alle amministrazioni. Si parla di decine di miliardi di crediti con rientro sicuro, molti dei quali finalizzati ad opere di dubbia qualità, utilità, o realizzabilità. In altre parole: Intesa-S.Paolo vive del fatto che lo stato abbia bisogno di soldi in prestito.

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Dario Fo, Daniele Silvestri, Stefano Rodotà e Claudio Bisio sono tra i primi firmatari dell’appello promosso dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua per chiedere di fermare il processo di fusione tra le aziende ex municipalizzare che gestiscono i servizi pubblici locali A2a ed Iren, avviato dai Comuni soci -Milano, Torino, Genova, Parma, Piacenza e Reggio Emilia- per rispondere ad esigenze di cassa. Tra le adesioni anche quelle di Pietro Raitano e Luca Martinelli di Altreconomia 

Appello contro la grande multiutility del Nord

Facciamo parte dei 27 milioni di cittadine e cittadini che si sono espressi contro la privatizzazione dell’acqua e per la difesa dei beni comuni. Viviamo con forte preoccupazione i ripetuti tentativi di cancellazione del risultato referendario, che colpiscono al cuore la partecipazione democratica e la credibilità delle istituzioni.

Con l’abrogazione dell’art. 23 bis, il referendum ha restituito alla sfera pubblica non solo l’acqua, ma anche gli altri servizi pubblici, compresi i rifiuti e il trasporto pubblico locale. Decenni di liberalizzazioni e privatizzazioni mostrano oggi il fallimento di questo disegno che ha visto il pubblico ritirarsi dai propri compiti e i Comuni trasformarsi da garanti dei servizi pubblici in azionisti. Ci lasciano aziende con miliardi di debito, aumento dei costi dei servizi per i cittadini, peggioramento delle condizione dei lavoratori del settore, azzeramento degli  investimenti in nuove reti, impianti e tecnologie, spreco di ingenti risorse naturali, finite e irriproducibili, e una drastica riduzione degli spazi di democrazia, di partecipazione e di trasparenza.

La proposta di creare una grande multiutility del nord si inserisce in questo quadro desolante. Ripercorre la strada dei fallimenti testimoniati dai bilanci in debito di A2A, Iren, Hera, ecc.; ci ripropone l’idea di vendere servizi essenziali per coprire buchi di bilancio; punta a superare i debiti delle aziende attraverso economie di scala. E’ un’operazione lobbistica e verticistica di istituzioni, managers e correnti di partiti, estranea alle città interessate, che espropria i consigli comunali dei loro poteri e allontana le decisioni dal controllo democratico. Oggi serve una gestione dell’acqua, dei rifiuti, del TPL, dell’energia, prossima ai cittadini e alle amministrazioni locali, per garantirne la trasparenza e la partecipazione nella gestione dei servizi.

Oggi più che mai una scelta del genere non deve essere perseguita. Al contrario è necessario aprire un ampio dibattito pubblico che coinvolga le amministrazioni locali, le assemblee elettive, coloro che hanno promosso e vinto i referendum, le associazioni, i comitati, tutti coloro che vogliono preservare l’universalità dei diritti fondamentali, come l’acqua, e tutelare i diritti dei lavoratori. Riteniamo indispensabili modalità nuove ed etiche per garantire ai Comuni investimenti pubblici necessari a realizzare politiche ambientali di risparmio idrico ed energetico e di riduzione, recupero e riuso dei rifiuti – obiettivi previsti dalla Direttiva Europea sulla promozione delle fonti rinnovabili. Non accettiamo di farci espropriare delle condizioni minime per esercitare i diritti di cittadinanza, di riproducibilità della nostra vita associata, in armonia con l’ambiente.

Per queste ragioni, pensiamo sia interesse di tutta la società civile fermare questo progetto che si presenta come un ulteriore attacco alla democrazia e ai beni comuni. Chiediamo a tutte le forze politiche, sociali e sindacali, in particolare quelle che hanno sostenuto i referendum, di prendere una posizione chiara opponendosi con decisione a questo progetto e portandolo alla discussione e al pubblico dibattito. Ci impegniamo a favorire tutti i possibili momenti informativi, di dibattito e di sensibilizzazione.

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Dall’ultima edizione on-line del notiziario ambientale ed energetico e-gazette…

Bilanci, rosso di 420 milioni per A2a

 Milano, 26 marzoA2a fa i conti con la chiusura dell’avventura in Edison, archiviando il 2011 con una perdita di 420 milioni di euro. Nonostante il maxi-rosso, il consiglio di gestione ha comunque deciso di distribuire ai soci una cedola, anche se poco più che simbolica, di 1,3 centesimi ad azione, per un monte dividendi di 40 milioni di euro (contro i 298 milioni dello scorso esercizio).
Sui conti hanno pesato 627 milioni di svalutazioni, per 433 milioni legate al riassetto di Edison che ha visto Delmi, controllata al 51% da A2a, cedere il 30,6% di Edison a Edf e rilevare il 70% di Edipower.
Al netto delle partite straordinarie, l’utile della gestione corrente è stato di 168 milioni (-31% sul 2011) mentre il margine operativo lordo si è attestato a 942 milioni (-9%) a fronte di ricavi cresciuti a 6,2 miliardi (+2,6%). “Sono risultati importanti perché conseguiti in un contesto difficile”, ha detto il direttore generale, Renato Ravanelli, promettendo che la multi utility lombarda tornerà all’utile e a pagare dividendi più consistenti già da quest’anno.
Sulla flessione dei risultati industriali ha pesato il calo della produzione idroelettrica in Montenegro (-56%), a fronte del positivo andamento degli altri settori in cui la multiutility opera. Epcg deve infatti assicurare energia a tutto il paese importandola a caro prezzo nel caso in cui la piovosità, come accaduto quest’anno, non alimenti a sufficienza i suoi impianti. Ravanelli non ha escluso una riflessione sulla quota nella società montenegrina.
Il volume d’affari di A2a è in crescita di 157 milioni e raggiunge i 6,2 miliardi di euro. Positivo, riferisce il consiglio di gestione, anche l’andamento della filiera ambiente e di cogenerazione e teleriscaldamento. In contrazione il risultato della filiera energia. Buono l’andamento del comparto gas.
Meno buono, anche se scontato, il taglio dei dividendi, che pesa tanto sui comuni azionisti, lo scorso anno destinatari di 83 milioni a testa. “La riduzione era largamente attesa e il comune di Milano era da tempo preparato”, ha fatto saper l’assessore al Bilancio, Bruno Tabacci.

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