TARANTO: ” L’ILVA ha continuato nell’attivita’ inquinante con coscienza e volonta’ per la logica del profitto…”

Inquinano con coscienza per la logica del profitto..( sulla pelle dei cittadini ). Non è solo una citazione marxista , piuttosto che di gramsciana memoria, ma semplicemente quanto ha scritto il Gip di Taranto Patrizia Todisco nel provvedimento della magistratura in cui si dispone il sequestro di alcuni impianti particolarmente dannosi per i cittadini e per i lavoratori dell’Ilva. A Taranto non deve prevalere la logica dello scontro tra ” ambientalisti ” e ” operai ” : bisogna che gli uni e gli altri siano uniti per chiedere una vera riconversione ecologica della citta’ salvaguardando il diritto al lavoro e alla salute per tutti e tutte. Quella che segue è una raccolta di articoli interessanti su questa vicenda. 

«È stato un provvedimento molto sofferto. Ma è bene chiarire una volta e per tutte che la magistratura si è mossa solo per rispondere al dettato costituzionale che impone l’obbligatorietà dell’azione penale. Non c’era altra possibilità di scelta». Questo l’incipit del procuratore generale presso la Corte di Appello di Lecce, Giuseppe Vignola, che nella conferenza stampa svoltasi ieri presso il comando provinciale dei carabinieri di Taranto, ha affiancato il procuratore di Taranto Francesco Sebastio, all’indomani del provvedimento del gip Patrizia Todisco che ha disposto il sequestro di sei reparti a caldo del siderurgico tarantino e ha ordinato l’arresto per otto dirigenti della Ilva.
Parole forti quelle di Vignola, che ha voluto mettere in chiaro come quella messa in atto è un’indagine a tutto campo, tesa a stabilire «che i morti determinati dagli inquinanti a Taranto, a Brindisi o a Lecce meritano rispetto, lo stesso, della Thyssen, di Marghera, di Genova. I nostri non sono morti di serie B. Sono persone, operai e cittadini che hanno lo stesso diritto costituzionalmente garantito di vedersi tutelati. E visto che sono stati e vengono a tutt’oggi colpiti anche i bambini, noi non potevamo non agire». Per questo motivo, il gip, ha scritto nero su bianco che lo stop alle acciaierie deve essere immediato «a doverosa tutela di beni di rango costituzionale come la salute e la vita umana che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta». Perché, ricorda sempre il gip, «la salute e la vita umana sono beni primari dell’individuo, la cui salvaguardia va assicurata in tutti i modi possibili».
Dunque «non si potrà mai parlare di inesigibilità tecnica o economia quando è in gioco la tutela di beni fondamentali di rilevanza costituzionale, quali il diritto alla salute, cui l’art. 41 della Costituzione condiziona la libera attività economica». Anche perché chi ha diretto lo stabilimento, doveva operare «salvaguardando la salute delle persone», adottando «tutte le misure e utilizzando tutti i mezzi tecnologici che la scienza consente, al fine di fornire un prodotto senza costi a livello umano». Cosa che non è stata fatta. D’altronde, i reati di cui sono accusati a vario titolo i gestori e proprietari dell’Ilva, il patron Emilio Riva, suo figlio Nicola ex presidente del siderurgico, Luigi Capogrosso ex direttore dello stabilimento, Marco Andelmi capo area parchi, Angelo Cavallo capo area agglomerato, Ivan Dimaggio capo area cokerie, Salvatore De Felice capo area altoforno e Salvatore D’Alo capo area acciaieria 1 e 2, parlano chiaro: disastro ambientale doloso e colposo, getto e sversamento pericoloso di cose, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici.
E proprio perché siamo di fronte ad un’inchiesta senza precedenti, Vignola ha chiarito come essa «si estenderà anche ad altre industrie inquinanti: Cementir, Agip o Eni e poi a Brindisi». Ma questo riguarda il futuro. Perché arresti e sequestro di oggi, hanno motivazioni precise: il Gip Todisco lo ha chiarito nel dispositivo di oltre 600 pagine. «Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato nell’attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza». Perché come ha spiegato a supporto di tale tesi il procuratore Vignola, mentre di giorno l’Ilva «rispettava» le prescrizioni imposte, la notte avveniva tutt’altro: testimoniato «dalla eloquente e impressionante documentazione filmata e fotografica del Noe sul reparto agglomerato», che ha dimostrato come di notte «venivano fuori dai camini le nubi contenenti polveri sottili.
Parole che riprendono quanto scritto nel dispositivo del Gip, che a tale riguardo parla di «accertamenti e risultanze emersi nel corso del procedimento», che hanno «denunciato a chiare lettere l’esistenza, nella zona del tarantino, di una grave e attualissima emergenza ambientale e sanitaria, imputabile alle emissioni inquinanti, convogliate, diffuse e fuggitive, dallo stabilimento Ilva». La cui gestione, prosegue il Gip, è stata «sempre caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni provocati», con un impatto «devastante sull’ambiente e sui cittadini che ha prodotto un inquinamento che ancora oggi provoca disastri nelle aree più vicine allo stabilimento».
La parola è poi passata al procuratore di Taranto, Franco Sebastio. Che ha voluto fare chiarezza sulle tante inesattezze diffusesi nelle ultime ore, dopo la notifica dei provvedimenti del Gip. Per prima cosa, un passo indietro nella ricostruzione dello sviluppo dell’inchiesta: «da parte della difesa dell’azienda – non è stata espletata fino ad oggi alcuna concreta attività difensiva. Ad esempio, nessuna controperizia che contestasse le relazioni tecniche». Lo stesso Sebastio, poi, chiarisce che il sequestro non è stato eseguito, ma soltanto notificato.. Tecnicamente parlando, infatti, il provvedimento di sequestro degli impianti sarà applicato una volta che avrà superato l’esame del tribunale del riesame, che si occuperà del caso venerdì 3 agosto.
Nel frattempo, l’impianto non chiuderà. Il procuratore ha poi espresso un suo personale desiderio: «Voglio vedere se finalmente si può arrivare ad una conclusione positiva e accettabile, non perfetta ovviamente, in relazione ad una attività di controllo che la magistratura ha iniziato 30 anni fa».
La prima sentenza contro l’ex Italsider è infatti datata 14 luglio 1982.

Gianmario Leone – dal Manifesto del 28 luglio

 

Le perizie dei chimici e degli epidemiologi, le morti e le malattie. I magistrati coprono il vuoto della politica

«Mi complimento per gli sforzi e i risultati ottenuti da Ilva. Attraverso i recenti dati clinici che ci giungono dalle Asl territoriali, emergono dati confortanti in relazioni alle malattie più gravi, patologie che non risultano in aumento, anche grazie al miglioramento dell’ambiente e della qualità dell’aria». Questo affermava il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, nell’ottobre del 2011 sulla rivista (promossa da Ilva) Il Ponte N.3 , a pagina 19. Poi sono arrivate le due perizie della magistratura, una dei chimici e una degli epidemiologi. Il sindaco è stato clamorosamente smentito dai periti della procura che hanno invece scritto queste cose.
1) Nel 2010 Ilva ha emesso dai propri camini oltre 4 mila tonnellate di polveri, 11 mila tonnellate di diossido di azoto e 11 mila e 300 tonnellate di anidride solforosa (oltre a: 7 tonnellate di acido cloridrico; 1 tonnellata e 300 chili di benzene; 338,5 chili di Ipa; 52,5 grammi di benzo(a)pirene; 14,9 grammi di composti organici dibenzo-p-diossine e policlorodibenzofurani (Pcdd/F). Vedere pag. 517 della perizia dei chimici.
2) I livelli di diossina e Pcb rinvenuti negli animali abbattuti e accertati nei terreni circostanti l’area industriale di Taranto sono riconducibili alle emissioni di fumi e polveri dello stabilimento Ilva di Taranto. Vedere pag. 521 della perizia dei chimici.
3) La stessa Ilva stima che le sostanze non convogliate emesse dai suoi stabilimenti sono quantificate in 2148 tonnellate di polveri; 8800 chili di Ipa; 15 tonnellate e 400 chili di benzene; 130 tonnellate di acido solfidrico; 64 tonnellate di anidride solforosa e 467 tonnellate e 700 chili di Composti Organici Volatili. Vedere pag. 528 della perizia dei chimici.
4) La fuoriuscita di gas e nubi rossastre dal siderurgico (slopping), fenomeno documentato dai periti chimici e dai carabinieri del Noe di Lecce, ammonta a 544 tonnellate all’anno di polveri? Vedere pag. 528 della perizia dei chimici.
5) Sarebbero 386 i morti (30 morti per anno) attribuibili alle emissioni industriali. Vedere pag. 219 della perizia degli epidemiologi.
6) Sono 237 i casi di tumore maligno con diagnosi da ricovero ospedaliero (18 casi per anno) attribuibili alle emissioni industriali. Vedere pag. 219 della perizia degli epidemiologi.
7) Sono 247 gli eventi coronarici con ricorso al ricovero (19 per anno) attribuiti alle emissioni industriali. Vedere pag. 219 della perizia degli epidemiologi.
8 ) Sono 937 i casi di ricovero ospedaliero per malattie respiratorie (74 per anno) (in gran parte tra i bambini) attribuiti alle emissioni industriali. Vedere pag. 219 della perizia degli epidemiologi.
9) Sono 17 i casi di tumore maligno tra i bambini con diagnosi da ricovero ospedaliero attribuibili alle emissioni industriali. Vedere pag. 220 della perizia degli epidemiologi.
10) I periti hanno concluso che l’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione «fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte».
Ripercorriamo alcuni passi della vicenda.
2008 Le analisi di laboratorio (commissionate da PeaceLink) sul pecorino evidenziano concentrazioni di diossina e Pcb tre volte superiori ai limiti di legge.
L’Asl di Taranto ordina l’abbattimento di 1.300 capi di bestiame allevati a ridosso dell’Ilva
2009 Ventimila persone sfilano a Taranto contro l’inquinamento aderendo all’appello lanciato da Altamarea.
2010 PeaceLink e Altamarea evidenziano troppa diossina nelle carni di ovini e caprini. Un’ordinanza della Regione Puglia vieta il consumo del fegato degli ovini e caprini cresciuti in un raggio di 20 chilometri dall’area industriale di Taranto.
2011 Il Fondo Antidiossina Taranto fa analizzare dei mitili. Emergono valori estremamente preoccupanti. L’Asl di Taranto vieta il prelievo e la vendita delle cozze allevate nel primo seno del Mar Piccolo. I mitili presentano concentrazioni di diossina e Pcb superiori ai limiti di legge.
2012 La magistratura mette i sigilli agli impianti più inquinanti dell’Ilva.
Che altro dovevano fare i magistrati?
Alessandro Marescotti  Presidente di Peacelink
www.peacelink.it

https://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/36647.html

 

COMUNICATO STAMPA:

LAVORO E SALUTE SONO INSCINDIBILI ANCHE ALL’ILVA DI TARANTO

Di fronte alla gravissima situazione di inquinamento ambientale, nota da tempo, denunciata a più riprese e da più parti tanto in sede locale che nazionale, provocata dalla modalità di gestione degli impianti dell’ILVA di Taranto Medicina Democratica ritiene di dover appoggiare la coraggiosa decisione del GIP Patrizia Todisco di procedere al sequestro preventivo degli impianti in alcuni reparti della produzione “a caldo” altamente inquinanti per l’ambiente esterno, come estremo e, ahimè, tardivo rimedio alla situazione di danno grave per la salute della cittadinanza e degli operai stessi impiegati negli impianti.

Tale azione non può onestamente essere presentata come prevaricazione della magistratura ma piuttosto come sbocco obbligato di anni e anni di denunce purtroppo inutili vista la volontà di profitto pervicacemente affermata da parte delle direzioni aziendali anche contro i più elementari diritti, sanciti nella nostra Costituzione, alla salute e alla difesa della vita dei lavoratori e dei cittadini.

I dati epidemiologici largamente e da tempo noti sono impressionanti: 386 morti attribuibili alle emissioni industriali e inoltre 237 casi di tumore maligno, 247 eventi coronarici con ricorso al ricovero, 937 casi di ricoveri per malattie respiratorie e 17 casi di tumori maligni nei bambini. Senza un’imposizione pubblica però sia delle amministrazioni statali che di quelle regionali, è ormai accertato che l’azienda non si muoverebbe mai, preferendo esercitare l’usuale ricatto occupazionale, particolarmente efficace in questo periodo storico.

Medicina Democratica, dalla sua fondazione, non ha mai smesso di affermare che LA SALUTE DEI LAVORATORI E DEI CITTADINI INQUINATI È UN BENE COMUNE che va difeso anche contro le esigenze produttive e di profitto che, ancora a norma della nostra Costituzione, non possono affermarsi danneggiando la comunità. Nessun lavoratore deve essere costretto a lavorare in luoghi di lavoro altamente inquinanti, tanto meno sotto ricatto occupazionale. Allo stesso modo nessun cittadino deve essere esposto al rischio noto di malattia a causa dell’inquinamento prodotto dalla fabbrica.

I reparti inquinati e inquinanti dell’ILVA DEVONO ESSERE BONIFICATI a spese della azienda; di quella stessa azienda che in anni di ignavia ha accumulato profitti sulla pelle e sulla salute dei lavoratori. È arrivata l’ora, in relazione a quanto stabiliscono le direttive comunitarie (chi inquina paga) che la azienda si assuma fino in fondo la sua responsabilità. I nostri soldi, dello stato e della regione, potranno eventualmente servire solo in via del tutto emergenziale, per interventi sui territori circostanti la fabbrica e riservando alle amministrazioni locali il diritto di rivalsa nei confronti di chi ha provocato il disastro ambientale doloso.

Medicina Democratica ritiene che possa e debba essere al contempo salvaguardata l’occupazione e che i lavoratori stessi possano essere utilmente impiegati, IN CONDIZIONI DI SICUREZZA, nelle operazioni di bonifica una volta avvenuto il dissequestro. Non è infatti pensabile che la soluzione stia in aggiustamenti di facciata, come sembra di evincere da alcune affermazioni fatte a caldo dal Ministro Clini.

Non è proponibile cioè che si risolva il problema alzando il livello normativo dei valori limite delle sostanze come in altre occasioni di infausta memoria è stato fatto: si aggiungerebbe al danno la beffa e questo non ce lo aspettiamo nemmeno da un governo “tecnico”.

Medicina Democratica ritiene che le indagini epidemiologiche e ambientali che sono state fatte, e che hanno motivato largamente l’intervento della Magistratura, sono sufficienti per iniziare il grande lavoro di bonifica necessario che deve coinvolgere per primi i lavoratori dello stabilimento e, in seconda istanza, le associazioni locali e nazionali che da anni denunciano l’inquinamento di Taranto.

MEDICINA DEMOCRATICA denuncia con forza come inaccettabile il tentativo di mettere i lavoratori contro i cittadini, sia perché si tratta spesso di lavoratori che vivono nelle stesse zone inquinate sia perché questo atteggiamento intende distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da quelle che sono le gravi responsabilità delle direzioni aziendali.

In prospettiva Medicina Democratica ritiene anche che si debba andare a una riconversione ecologica dell’economia, attraverso un progressivo processo di fuoriuscita da tutti i CICLI LAVORATIVI GRAVEMENTE INQUINANTI che costituiscono una fonte di ricchezza per pochi con danno di tutti.

L’alternativa sta nello sviluppo di altri settori: agricoltura biologica, con valorizzazione delle risorse locali (KM0), impulso a opere pubbliche per la difesa del il territorio (rischio alluvioni, idrogeologico, sismico etc.), difesa dell’industria manifatturiera di qualità, sviluppo di energie alternative a partire dal fotovoltaico.

Medicina Democratica ritiene che tale programma deve essere portato avanti con tutte le forme possibili, anche di autogestione, pretendendo l’impegno del Governo in questa direzione, se davvero si intende contrastare gli interessi della speculazione finanziaria che mette a dura prova l’economia, salvaguardando i valori reali o, in primo luogo, i beni comuni.

Il direttivo nazionale di MEDICINA DEMOCRATICA

Milano, 27 luglio 2012

 

 Cominicato Stampa – ALBA

Per quanto è accaduto a Taranto, in questi giorni, c’è materiale per una inchiesta a tutto campo atta ad analizzare e capire meglio il dramma di una città, di un territorio meridionale depredato da sempre delle proprie risorse naturali,della propria salute, del proprio lavoro.
Ancora una volta c’è voluto un gruppo di magistrati coraggiosi ( a cui va tutto il nostro ringraziamento) a emanare una ordinanza di sequestro nei confronti di una fabbrica,l’Ilva,che produce acciaio a pochi metri dalla città con tutto il suo carico di inquinamento che ha prodotto centinaia di morti accertati per tumori vari e migliaia di malattie di vario genere causate da tutta la porcheria di veleni che dagli anni sessanta in poi ha invaso l’aria che si respira,ha inquinato il suolo sottostante,ha inquinato le falde acquifere,modificato la catena alimentare,distrutte specie di animali e molluschi vari (eclatante il sequestro del vivaio delle cozze a mar piccolo per inquinamento da diossina).

Il sequestro dell’area a caldo dell’Ilva e dell’arresto ai domiciliari dei proprietari della fabbrica (RIVA) insieme ad altri 6 dirigenti aziendali sono il portato clamoroso di una indagine non nata ieri ma che va avanti da anni e che nel frattempo aveva già prodotto sentenze contro la proprietà per violazioni legislative di vario genere sia nei confronti dei lavoratori sia nei confronti dei cittadini abitanti nei quartieri circostanti la fabbrica stessa. Da questo sequestro viene fuori la condanna non solo di un padrone che ha anteposto il profitto smisurato alla tutela della salute e della vita, ma è una condanna senza se e senza ma di un ceto politico e sindacale che in tutti questi anni non solo ha affrontato i problemi in maniera servile e compromissoria ma, sotto certi aspetti, ha avallato le scelte di morte prodotte dalla azienda.

La rivolta operaia che ne è scaturita dalla possibile chiusura dello stabilimento e,quindi,dalla possibile perdita del posto di lavoro non può essere un’arma di ricatto per lasciare le cose come stanno con il loro carico di morte. La tutela del posto di lavoro è fuori discussione. E’ necessario che la partita si riapra valorizzando al massimo la difesa alla vita e al lavoro per tutti. Chi inquina deve pagare. Non bastano i trecento milioni messi in fretta e furia dal governo e dalla regione (di cui solo una parte per la bonifica) per mettere in sicurezza il territorio. A Porto Marghera ne hanno investito quattro miliardi di euro per il risanamento di una area che, probabilmente, non ha raggiunto i livelli di devastazione di Taranto. Bonificare un territorio serve se la causa inquinante viene a cessare; altrimenti non serve a niente.

Si tratta quindi di pretendere che Riva attui tutte le prescrizioni indicate dai magistrati, riduca drasticamente la produzione aumentata a dismisura dopo la chiusura dello stabilimento di Genova sempre per inquinamento spostando a Taranto la quantità di acciaio prodotto in quel sito, e che siano i lavoratori e i cittadini a controllare che tali operazioni vengano fatte senza ambiguità e sotterfugi.

Istituire subito comitati dei cittadini residenti nelle aree colpite sono il migliore deterrente per evitare che le burocrazie politiche e sindacali facciano compromessi vari a danno dei cittadini stessi. In ultima analisi – conclude il comunicato – pensiamo, come ALBA, che da questa vicenda può aprirsi un percorso virtuoso non solo per dire basta allo scempio prodotto nel tempo da Riva e dai suoi servi sciocchi ma permettere che si apra un capitolo di democrazia partecipata che permetta ai cittadini e ai lavoratori di rendersi protagonisti del proprio destino. Se non ora,quando?

Ciccio Voccoli per conto di ALBA (Alleanza Lavoro,Beni comuni,Ambiente)

 

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