Duemilaseicento volte oltre i limiti di legge. Sono i valori delle concentrazioni di cromo esavalente e di altre sostanze nocive presenti nelle acque sotterranee e anche nei terreni a sud di via Orzinuovi e nel Sin, il “sito di interesse nazionale” della Caffaro di Brescia.
Si tratta di rilevazioni contenute nella nota del Ministero dell’Ambiente datata 24 luglio e inserita nelle carte del ricorso presentato al Tar dalla ditta “Baratti Eredi Inselvini srl” di via Padova, nel quale era contenuta l’istanza di annullare e sospenderne gli effetti dell’ordinanza del Comune che imponeva di riattivare la “barriera idraulica” per bonificare la falda inquinata ( attività di pompaggio e filtrazione a carboni attivi di centinaia di migliaia di metri cubi d’acqua per impedire la contaminazione dei pozzi vicini…) .
I giudici della Prima sezione del tribunale amministrativo hanno respinto l’istanza della Baratti motivandola con la valutazione che “la richiesta cautela non può essere accolta, trovandosi in comparazione interessi meramente economici della ricorrente con la tutela della salute pubblica”.
All’azienda ora spetta (a meno di un ricorso al Consiglio di Stato) mettere in atto l’ordinanza della Loggia e provvedere (per un costo di alcune centinaia di migliaia di euro) alla bonifica delle acque contaminate, riattivando la barriera idraulica.
La Baratti ha replicato a via Zima di avere già provveduto ad un intervento in tal senso, intervento che ha comportato un impegno economico pari a 150mila euro. La stessa cifra, secondo la Baratti, occorrerebbe ora per rispettare la delibera comunale, ma l’azienda afferma che l’importante investimento, potrebbe risultare problematio in un periodo di pesante crisi economica. La richiesta formulata ai giudici di via Zima è quella di imporre alla Loggia una cauzione ad eventuale risarcimento della spesa sostenuta dalla Baratti Inselvini nel caso in cui la controversia fosse poi vinta dall’azienda stessa. Anche questa istanza è stata respinta dal Tar.
La notizia viene riportata dal portale quibrescia.it di venerdi 3 agosto e cosi’ commentata da Guido Menapace del Comitato Ambiente Brescia Sud sulla sua pagina FB. “Anche questa vicenda è strana. Ricordo che questa primavera, durante un incontro con il Dott.Sesana dell’ARPA, ci aveva comunicato che la Baratti stava collaborando attivamente, e che i controlli fatti dall’ARPA stessa confermavano il buon andamento dei lavori all’interno della sede di via Padova. Ora si apprende che, fortunatamente, è stata respinta dal TAR la richiesta fatta dalla Baratti di sospensione dell’ordinanza sindacale, che le impone la riattivazione della “barriera idraulica” per bonificare la falda inquinata. Questo vuol dire che questa barriera ATTUALMENTE non è in funzione e la domanda sorge spontanea: cosa ha fatto e cosa sta facendo la Baratti per bonificare il danno da lei stessa causato?”
Nel marzo del 2011 Giovanni Inselvini ( condannato a un anno e due mesi con successivo patteggiamento e sospensione della pena ) e nell’ottobre dello stesso anno i figli Alberto e Ottaviano Inselvini, intestatari della ditta Baratti Eredi Inselvini di via Padova a Brescia furono condannati dal giudice Luciano Ambrosoli del Tribunale di Brescia per inquinamento da cromo esavalente. Nel novembre del 2008 in alcuni pozzi a sud rispetto all’azienda incriminata vennero riscontrate concentrazioni di cromo migliaia di volte superiori ai limiti consentiti per legge. Dopo una serie di sopralluoghi i tecnici del Nucleo Investigativo per la tutela ambientale scoprirono macroscopiche falle nelle vasche di galvanizzazione della Baratti, falle che avrebbero fatto uscire il cromo finito poi nelle falde e nei pozzi privati di alcuni cittadini. A seguito dell’episodio quegli stessi cittadini, assieme ad A2A ed al Comune di Brescia, si costituirono parte civile contro i vertici dell’azienda.
In seguito a questo episodio Comune, Provincia e Arpa avevano annunciato l’avvio di ” interventi di messa in sicurezza ” : atti preliminari di un futuro intervento di bonifica dell’area. I tre enti avevano poi lavorato parallelamente alla Procura individuando un secondo focolaio dell’inquinamento della falda. In via Noce sono state individuate concentrazioni 400 volte superiori al limite. Per gli autori del campionamento sono dovute all’attività di galvanica che fino a qualche tempo fa veniva svolta nel capannone della Forzanini srl di via Ancona 62.
Nel frattempo nel febbraio del 2010 la Provincia aveva imposto alla ditta Baratti di provvedere al risanamento del sito contaminato dal cromo risultante dalla lavorazione. A sua volta, l’azienda bresciana aveva impugnato la diffida davanti al Tar sostenendo di non essere l’unica responsabile dell’inquinamento della zona. A ottobre era arrivata la sospensione della diffida da parte del tribunale amministrativo.
Mentre la battaglia su chi deve ” bonificare ” si combatte in Tribunale i cittadini continuano a bere acqua inquinata : nel febbraio scorso l’Arpa ( e i monitoraggi privati condotti dalle aziende incriminate ) rendono noti gli esiti dell’indagine condotta su 104 punti tra pozzi pubblici e privati nella zona sud-ovest della citta’ che evidenziano valori di cromo esavalente totalmente fuori controlo . Basti pensare che – rispetto a un limite massimo stabilito in 5 microgrammi per litro – il campionamento del 27 febbraio 2009 ha registrato una concentrazione di cromo VI pari a 157,50 microgrammi per litro; mentre il 16 settembre 2010 i risultati si sono attestati su un valore di 69,90. Il picco massimo, nelle indagini del 28 gennaio 2011, quando il livello di cromo VI ha raggiunto una concentrazione pari a 62.400 milligrammi per litro. Ben 12.480 volte sopra il limite previsto. Infine, marzo 2011: 23.680 milligrammi per litro. La relazione Arpa evidenzia come «il valore tipico della concentrazione di cromo VI nelle acque sotterranee di Brescia nella zona sud-ovest è da considerarsi in un range compreso tra i 10 e i 20 milligrammi per litro, contro un valore previsto dalla normativa per le aree inquinate di 5 milligrammi/litro».
Da Chiesanuova, al Sereno. Dove «i pozzi registrano valori di contaminazione molto superiori alla media della falda». Non solo. Qui, la concentrazione di cromo VI «tende ad aumentare, testimoniando un’azione di richiamo di inquinanti dalle zone limitrofe». La conclusione è perentoria: «I dati evidenziano un deciso peggioramento a partire dal 2005».
Marino Ruzzenenti da anni segue la vicenda e dice : ” Per barriera idraulica si intende la collocazione nella falda inquinata, a valle del flusso della stessa e al livello piezometrico in cui è presente la contaminazione, di uno o più pozzi con il compito di estrarre l’acqua contaminata e quindi di depurala. Questi pozzi funzionano da “barriera” perchè bloccano il flusso e la conseguente dispersione in falda degli inquinanti. Una analoga, particolarmente importante, da un decennio è attiva in Caffaro.
Nell’agosto 2010, il Ministero dell’Ambiente ha di nuovo riproposto il problema gravissimo della falda di Brescia sottostante la Caffaro rilevando “la non tenuta della barriera idraulica adottata” per cui continua la dispersione degli inquinanti, minacciando anche la falda profonda. https://www.ambientebrescia.it/CaffaroFalda2010.pdf