ECOSERVIZI BUFFALORA: SEQUESTRATO L’IMPIANTO

mappa-foto-cave-nocivita-SUD-EST-Brescia-San-Polo-San-Polino-Buffalora-3-2-2Rifiuti pericolosi, con sostanze dal potenziale cancerogeno, diluiti o miscelati e smaltiti in maniera irregolare al fine di consentire il rientro nei parametri di legge. Succede a Brescia, all’azienda Ecoservizi di Buffalora, che smaltisce oltre il 30 per cento delle polveri di abbattimento (quelle leggere) provenienti da tutti gli inceneritori d’Italia, ed è soltanto una delle violazioni che le approfondite indagini del Corpo forestale dello Stato hanno portato alla luce. Il Nucleo Investigativo Provinciale di Polizia Ambientale e Forestale di Brescia ha, pertanto, eseguito il sequestro dell’impianto (che fa parte del gruppo Systema Ambiente) per attività di smaltimento di rifiuti non previsti in autorizzazione e miscelazione e diluizione di rifiuti pericolosi cancerogeni. Un’inchiesta della Procura di Brescia condotta dal sostituto procuratore Claudio Pinto che ha iscritto nel registro degli indagati due persone: Manlio Cerroni, amministratore delegato della società, e Roberta Bortolotti, responsabile dell’impianto di Buffalora. L’avvocato Cerroni, 82 anni, considerato il re della “monnezza” romana, era già finito agli arresti domiciliari pochi mesi fa nell’ambito di un’inchiesta sui rifiuti della Procura di Roma. Le persone coinvolte rischiano pene pecuniarie fino 26mila euro e la reclusione fino a due anni.

 Tra le numerose violazioni all’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) perpetrate dalla ditta, emergono le inosservanze alle prescrizioni dei rifiuti in entrata, un’omessa trasparenza delle procedure, il superamento della soglia del 30 per cento relativamente al quantitativo di rifiuti pericolosi trattabili autorizzati, la mancanza delle prescrizioni per i controlli degli scarichi nei corpi idrici superficiali e l’omesso controllo di alcuni parametri per lo scarico nella fognatura, tra cui la presenza di pesticidi, solventi organici e idrocarburi. Di particolare gravità è stata la prassi di miscelazione di rifiuti pericolosi al fine di consentire il rientro nei parametri di legge. Le indagini della Forestale, con il supporto dell’Arpa Brescia proseguono finalizzate all’individuazione di altri reati ed ulteriori responsabili.

UNA VITTORIA per i residenti della zona di Buffalora dopo anni di esposti a carico dell’azienda per emissioni moleste in atmosfera e in seguito alla sentenza della corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della «convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». Per la prima volta i responsabili dei comitati ambientalisti che per anni si sono battuti per arginare i problemi derivanti dall’impianto hanno assistito alla chiusura preventiva dell’attività di trattamento rifiuti pericolosi.

Manlio Cerroni, signore incontrastato del business delle discariche, colui che il gip romano Massimo Battistini a gennaio, nell’ordinanza di oltre 400 pagine, definiva«il Supremo» ritorna protagonista di vicende giudiziarie che lambiscono anche il bresciano dopo Montichiari, dove vennero bloccate quaranta tonnellate di rifiuti speciali provenienti dalla Capitale e destinate alla discarica Gedit.

All’epoca, prima degli arresti, i controlli della task force dell’Arpa, allertata dalla Regione Lombardia, avevano infatti riscontrato delle difformità sospette fra i codici Cer (una sorta di carta d’identità dei rifiuti) e il materiale effettivamente trasportato da due dei quattro camion approdati a Vighizzolo (frazione di Montichiari). Nell’inchiesta che aveva portato ai domiciliari Cerroni e altre sei persone, i carabinieri del Noe avevano ricostruito una storia di documenti falsi, emergenze pilotate. Tonnellate di rifiuti destinati alla differenziata mai trattati e finiti nella discarica di Malagrotta (Roma), nonostante i proprietari dell’impianto di differenziazione incassassero diversi milioni di euro.
IL «SISTEMA MALAGROTTA» implicitamente permetteva di dichiarare Malagrotta in costante emergenza proprio perché, secondo l’accusa, nel conteggio delle cubature di spazzatura finivano materiale non definibile rifiuto tout court come il Cdr (combustibile da rifiuti) e ciò che poteva essere riciclato. Dunque l’emergenza fittizia di Malagrotta produceva, per l’accusa, un nuovo business al gruppo visto che le amministrazioni erano costrette a trovare nuovi siti. Businnes destinato a intaccare anche Montichiari e di riflesso, dopo le ultime contestazioni, anche l’impianto ceneri di Brescia. Stando alle carte della prima inchiesta «No smoke», oltre trenta delle 280 mila tonnellate di «veleni» del polo industriale dismesso Sisas di Pioltello erano state tumulate senza precauzioni nella Bassa e in Franciacorta. Le due situazione più delicate si erano registrate invece a Rovato e Montichiari, dove gli scarti pericolosi erano semplicemente tumulati senza essere sottoposti ad alcun trattamento. Stessa storia delle ceneri di Brescia. 

 

 

 

 

 

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