NO centrali biomasse NO inceneritori: Sabato 21 manifestazione a Rodengo Saiano

Una richiesta di 26 nuove strutture a fronte di una mappa che ne conta gia’ 63: e stiamo parlando solo della provincia di Brescia. Quasi 200 tra operativi e in progetto nel cremonese, oltre 500 in funzione entro la fine dell’anno nella sola Pianura Padana, una delle cinque zone piu’ inquinate del pianeta. Ma non si diceva che bisognava trovare ” politiche ” efficaci per la riduzione delle emissioni in atmosfera? Che le pm 10 e 2,5 ci fanno ammalare e poi ci uccidono? Ci rispondono che  è la crescente domanda di energia ad aumentare l’offerta e in questo momento gli incentivi per la produzione di ” rinnovabili” , biomasse comprese, sono talmente alti che sarebbe da fessi rinunciarci. E’ il mercato bellezza: e quindi si sacrificano territori, luoghi, paesaggi, vite, persone ecc.. Nell’impianto Riso Scotti di Pavia hanno scoperto che bruciavano di tutto ( fanghi industriali, rifiuti ospedalieri…) tranne quello dichiarato . Gli scarti di lavorazione del riso venivano, giustamente, venduti alle aziende zootecniche della zona. Ne frattempo ” gli amici di Jerri ” si portavano a casa in otto anni ( 2002- 2010) 27 milioni di euro di incentivi, i famosi Cip 6 che noi cittadini  ( o sudditi ? ) paghiamo in bolletta , sempre piu’ cara per via della famosa legge del mercato.. ci guadagnavano quindi tre volte, visto che incassavano soldi anche dalle aziende a cui facevano il piacere di bruciare i rifiuti.  E poi scusate, ma tutta sta materia prima per far funzionare  queste centrali da dove arriva ? forse dalla Transilvania , in Romania, dove quarda un po’ si sta’ deforestando per fare spazio alle coltivazioni di riso della Scotti.
Ci saremo anche noi alla manifestazione promossa dal Comitato spontaneo contro la centrale biomasse di Rodengo Saiano  di sabato 21 , appuntamento alle 15.00 davanti alle scuole medie del paese, con la speranza di continuare a ” fare Rete ” e di far aumentare la consapevolezza che piu’ nessuno puo’ sentirsi ” al sicuro neanche in quel piccolo paradiso che è la Franciacorta. O almeno cosi’ dicono i deplians.
Osservazioni sul previsto impianto della centrale a cogenerazione di biomasse a Rodengo Saiano (BS)
NB: le dimensioni dell’impianto sono ininfluenti sulle considerazioni di cui sotto.
1) La biosfera franciacortina è già inquinata
L’ inquinamento dell’aria oltre ad essere rilevabile e quantificabile scientificamente è anche osservabile ad occhio nudo da posizioni elevate d’altitudine (monti o aerei). Questo è facilmente spiegabile come persistenza delle emissioni in atmosfera di tutta la Padania che grazie alla catena delle Alpi non vengono trasportate lontano nel pianeta. L’inquinamento delle acque anch’esso rilevabile scientificamente è anche istantaneamente deducibile dalla generale non potabilità della maggior parte delle acque superficiali e sotterranee.
Qualsiasi nuovo impianto di bruciatura di qualsiasi tipo sarebbe una emissione
aggiuntiva nella già inquinata biosfera. Inoltre i parametri di legge per le
emissioni da impianti di bruciatura derivano da direttive statali ed europee che
non tengono conto della morfologia e situazione degli inquinanti in Padania; sono quindi completamente sovrastimati per la nostra terra.
2) Situazione agricola attuale
L’ambiente franciacortino e padano in generale si pregia di essere ricco di attività agricole di alta qualità e di stampo biologico. Aumentando le emissioni si andrebbe a peggiorare una qualità agricola già provata dall’inquinamento attuale, oppure si vedrebbero sostituite da coltivazioni di biomassa per centrale energetica.
3) Quantità di materie prime per il funzionamento della centrale a biomasse
La biomassa di scarto utile attuale franciacortina per l’approvigionamento delle
centrali è completamente sovrastimata sia in termini di quantità che di qualità e
per durata nel tempo. La qualità dei materiali risultanti da potature e manutenzioni del verde in generale è molto basso, e a corto termine la quantità non sarà sufficiente a garantire un funzionamento continuo di un bruciatore neanche di piccole dimensioni. Inoltre i materiali legnosi di scarto cippati e buttati in caldaia saranno ancora umidi con conseguente dispendio di energia di bruciatura e aumento dei fumi emessi.
 Rivolgersi allora ai nostri campi e boschi sarà inutile poiché non potranno offrire
se non per tempo limitato il combustibile necessario per il funzionamento
continuo delle centrali a scopo di produzione di energia elettrica, soprattutto se
ne verranno create centinaia in tutta la Padania.
Inoltre la situazione globale dei cambiamenti climatici in atto non permettono di creare nessun modello previsionistico d’evoluzione a breve termine, in parole povere i nostri boschi e tutta la Natura in generale si trovano in una situazione vegetativa d’adattamento ai cambiamenti globali molto difficoltosa se non addirittura catastrofica.
Questo suggerisce uno sfruttamento delle risorse vegetali molto più oculato e non deve andare certo nella direzione di bruciare il legno esclusivamente per la
produzione di energia elettrica.
Si potrebbe generare conseguentemente l’dea di creare coltivazioni ad hoc per
mantenere le centrali, la qual cosa creerebbe pericolose speculazioni di terreni
agricoli come è successo per i pannelli fotovoltaici. Non dimentichiamo che, oltre che cercare di essere meno dipendenti dal resto del mondo dal punto di vista energetico dovremmo anche esserlo come sostentamento alimentare, soprattutto considerando che la pianura padana fino ad oggi è stata una delle pianure più fertili del mondo.
4) Pericolo potenziale di trasformazione della centrale a biomasse in centrale per incenerimento di rifiuti generici
 Come già sta succedendo in altre parti dopo i primi anni di funzionamento, la
produzione d’elettricità di quest’impianti entra in crisi: ci si accorge che la
capacità d’approvvigionamento di biomasse, sotto forma di colture dedicate e di residui boschivi e agro-alimentari, dai bacini locali era stata sovrastimata. La
disponibilità di legna dei boschi della zona va progressivamente diminuendo e,
per garantire il funzionamento degl’impianti a pieno regime, non bastano i
prodotti locali, ma si fa ricorso al reperimento di biomasse da zone sempre più
distanti con il conseguente aumento dei costi di gestione. Le crisi divengono tali che vengono avanzata le richieste di utilizzare perfino i rifiuti solidi urbani e
d’altro genere. Sembra che i permessi vengano accordati, trasformando di fatto le centrali in impianti “assimilati” alle fonti rinnovabili, veri e propri “termovalorizzatori”, con buona pace della rinnovabilità dell’energia prodotta.
5) Mancata resa ottimale delle energie prodotte
Il sistema della centrale, che sfruttando il funzionamento di una caldaia a
biomassa ad olio diatermico di potenza al focolare pari a 5.999 kW e un
turbogeneratore Turboden ORC ad olio siliconico da 1.000 kW elettrici, è una
soluzione molto promettente per la cogenerazione a biomassa, ha però nel caso di Rodengo S. la grave pecca di non avere in progetto e neanche in previsione alcuna utenza termica. Il calore prodotto andrebbe quindi disperso con grave danno nell’ambiente. Si ha quindi una resa massima in tutti i casi dell’impianto del 60%, si sfrutta quindi poco più della metà del potenziale a disposizione.
6) nessun vantaggio economico, energetico o ambientale diretto per la
popolazione civile ne per le industrie o attività produttive
Le popolazioni residenti non ottengono energia elettrica a costi minori, non
vengono serviti da sostituti energetici per il riscaldamento domestico e non
vedono sostituita l’energia utile per l’utilizzo dei trasporti.
Localmente l’ambiente avrà delle emissioni in più rispetto al presente, ed inoltre continue per tutti i mesi dell’ anno.
Globalmente la quantità di CO2, prodotta nella combustione della biomassa per
la generazione d’elettricità, che viene emessa nell’atmosfera, può si considerarsi all’incirca uguale a quella che era stata assorbita dalle piante durante il ciclo vegetativo, tuttavia, il bilancio complessivo non può essere considerato in parità a causa delle emissioni che hanno accompagnato la fase precedente, cioè quella fase che comprende sia le operazioni colturali, sia quelle della raccolta e del trattamento del prodotto legnoso, sia il suo trasporto dal luogo di produzione fino alla centrale termoelettrica. Inoltre, il tempo necessario per un vegetale, per trasformare, tramite la fotosintesi, la CO2 in Carbonio organico, è più o meno lungo, e questo dipende dalla qualità specifica del vegetale stesso.
I tempi corti di utilizzo del legno come combustibile creeranno un deficit di
disponibilità rispetto alla domanda che sarà sempre più ampio fino all’esaurimento delle risorse.
In altre parole: la legna è si rinnovabile, ma con tempi propri e cure culturali e
ambientali specializzate e solo in ambienti salubri.
Questi sono i principali punti dai quali si evince che impianti di riciclo e utilizzo
delle risorse esistenti, in cui ormai anche i rifiuti sono una risorsa, devono essere valutati e studiati molto più attentamente di quello che invece sta succedendo al momento.
Riassumendo:
la centrale utilizzerebbe le risorse locali per creare:
·         energia per utilizzo non locale.
·         inquinamento locale sia atmosferico che idrico.
Una centrale a cogenerazione di biomasse per poter essere accettabile in un
territorio deve soddisfare le seguenti caratteristiche:
1) Essere creata e mantenuta con fondi della collettività, garantiti per tutta la
durata di vita dell’impianto.
2) Essere attiva e funzionante come produzione di energia elettrica solo nei
periodi in cui serve anche riscaldarsi. Alla nostra latitudine indicativamente
dalla data dei Morti fino a Pasqua, salvo diverse situazioni climatiche
particolari.
3) Cogenerare elettricità e acqua calda senza spreco di energie.
4) Funzionare a regime ottimale con minime emissioni di inquinanti, molto al
di sotto di quelle consentite attualmente per legge. *
5) Utilizzare solo materiale non inquinato di provenienza locale e di scarto da
altre lavorazioni.
6) Avere una dimensione proporzionale alla quantità di materiale disponibile
per tutta la durata di vita dell’impianto.
7) Avere rese di utilizzo intorno al 100%
8) Servire il territorio circostante, da cui si ricavano le risorse, della energia
prodotta, e di acqua calda, abbassando significativamente i prezzi di
vendita, e andando a sostituire nel periodo di funzionamento tutti gli
apparecchi individuali per la produzione degli stessi.
9) Non avere nessuna possibilità in nessun caso di trasformarsi per l’utilizzo
di altre risorse. La corsa forsennata alla costruzione dovunque di impianti di varia origine per l’utilizzo delle risorse a fini energetici sembra quanto mai artificiosamente creata ad arte da enormi poteri politici mondiali.
È giusto allora difendere la propria terra cercando di consegnarla non devastata ai propri figli e combattere una speculazione che ha dimensioni globali legata com’è anche al saccheggio del terzo mondo e alla trasformazione di materie prime preziose in scarti da quattro soldi.
Nessuno di noi con un po’ di buon senso, vorrà vedere Rodengo Saiano, la
Franciacorta o tutta la Padania coperta di pannelli solari, disseminata di centrali
a biogass e camini di centrali a biomasse, solo per continuare a mantenere il
consumo energetico irrazzionale attuale.
Le alternative esistono e ce ne sono per tutte le esigenze, dobbiamo avere il
coraggio di fare delle scelte che anche se al momento sembrano antieconomiche ripagheranno in futuro, in termini di qualità della vita.
Scelte calate dall’alto e immediatamente ed economicamente vantaggiose come se fossero misure urgenti ed inevitabili, puzzano un po’ di sfruttamento terzo mondialiste, mentre valutazioni di sistemi locali, ponderate dalle amministrazioni locali, magari un po’ meno ingenuamente di quanto sta succedendo adesso, economicamente ed ecologicamente e anche tradizionalmente sostenibili non vengono presi in considerazione, mentre sarebbe auspicabile una presa di posizione forte e univoca di tutte le forze politiche per opporsi ad ennesimi sfruttamenti della Padania.
* Vi sono sistemi attuali di abbattimento di inquinanti da bruciatori a legna a
conduzione familiare con valori nettamente migliorativi dell’ambiente, e che
usano solamente i fumi di scarto che inevitabilmente andrebbero nell’ambiente.
vedi tabella seguente:
Oltre a questo viene scaldata acqua sanitaria, percentualmente demineralizzata e potabilizzata, inoltre l’acqua che serve per l’abbattimento dei fumi può essere utilizzata in campo agricolo.
Dott. Forestale Stefano Ferrari (Sulzano, Bs)
Qui potete ascoltare un’intervista all’ingegnere Massimo Cerani dell’Associazione Energetica

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