BUGIE AL GUSTO CLINKER

Un report sul percorso che ha portato oggi all’avvio dei lavori di ampliamento del cementificio Italcementi di Rezzato.

 

Come può una multinazionale del cemento imporsi su un territorio fino a saturarlo di nocività e poi riuscire a farsi approvare un progetto di ampliamento? Basta fingere di investire in un settore saturo, elogiare la propria attenzione all’ambiente, nascondersi dietro lo spauracchio dell’offerta di posti di lavoro, offrire oneri in cambio di malattie e saccheggio delle risorse.

LA STORIA

La cementeria della multinazionale Italcementi sorge in zona est dell’hinterland di Brescia, a cavallo fra i comuni di Rezzato e Mazzano su una superficie di 20 ettari, in un contesto abitativo diffuso di circa 25.000 abitanti ed una densità d’insediamenti industriali, artigianali, commerciali, agricoli e del terziario fra i più alti della provincia di Brescia.

La zona è attraversata da numerose ed importanti arterie che con oltre 6.000.000 veicoli in transito all’anno è una delle arterie a maggior traffico della Provincia di Brescia.

L’insediamento ha quasi mezzo secolo ed ha costituito il primo esempio, di sfruttamento intensivo su scala industriale dei giacimenti di carbonato di calcio del sovrastante monte Marguzzo.

Le cementerie sono fra le maggiori industrie che emettono anidride carbonica in atmosfera,le emissioni attuali di CO2 dell’impianto di Mazzano –Rezzato sono quantificate fra 850.000 e 900.000 t/a.

Vengono utilizzati oltre ai combustibili fossili tradizionali altre fonti che vanno dai copertoni ai solventi agli oli esausti al pet-koc alle farine e oli di origini animali ecc.

Nel 2006 a seguito della richiesta della soc. Italcementi di ampliare la cementeria e potenziare la produzione, da 2300 a 4000 t/g per il cemento grigio, avviata nel 2005 con la presentazione alla Regione Lombardia di uno Studio d’impatto ambientale, le Amministrazioni dei Comuni di Rezzato e Mazzano hanno commissionato congiuntamente una indagine sulla qualità dell’aria, ed una sugli aspetti epidemiologici ed igienico-sanitari connessi con l’attività della Cementeria Italcementi.

I risultati presentati fanno risalire alla sola attività della cementeria un peso inquinante del 70%

dell’inquinamento totale della zona, per essere sostenibile non dovrebbe superare 1%.

Il documento di sintesi dell’indagine riferisce che per quasi la metà del tempo la qualità dell’aria si trova in categorie mediocri o non salubri, in particolare per il 10% del tempo (circa 35/g all’anno) si ha una situazione molto insalubre con effetti immediati e diretti sulla salute dei cittadini al punto da sconsigliare di uscire, di limitare la permanenza all’aria aperta e di evitare l’attività fisica specialmente durante i mesi estivi.

Il progetto d’ampliamento e potenziamento della produzione da 2.300 t/g a 4.000 t/g proposto dalla soc.Italcementi nel 2005,prevede in una prima ipotesi di estendere la superficie di 200.000 mq attualmente occupata, a sud del naviglio grande e della pista ciclabile che lo delimita.

In questa ipotesi si avrebbe un consumo di territorio agricolo di pregio di ulteriori 100.000mq. e sia il Naviglio Grande che la pista ciclabile verrebbero inglobati dentro la cementeria.

Una seconda ipotesi prevede il potenziamento dell’impianto all’interno dell’attuale area industriale con il potenziamento di produzione a 4.000 t/g per il cemento grigio.

Contro lo SIA(studio impatto ambientale) relativo alle due proposte si sono espresse le Amministrazioni Comunali di Rezzato e Mazzano su cui ricade l’insediamento, tutti i comuni circostanti (Nuvolera , Nuvolento, Paitone, Botticino, Prevalle, Serle, Castenedolo), la provincia di Brescia, ed Il Coordinamento dei comitati ambientali di Brescia Est, oltre che altri innumerevoli gruppi e soggetti rappresentanti la società civile raccogliendo tra la popolazione 5000 firme.

Nel mese di ottobre 2006 la società, con una lettera inviata alle amm. Comunali dei due comuni

su cui ricade l’impianto, propone una terza ipotesi, che prevede di spostare sia la Pista Ciclabile

che il Naviglio Grande verso sud per evitare che questi vengano inglobati dentro la cementeria,

lascia inalterate le richieste precedenti d’ampliamento dell’area e potenziamento della

produzione e propone una cooperazione con l’ASM di Brescia per installare un sistema di

cogenerazione di energia elettrica e calore, quest’ultimo, da distribuire sotto forma di

teleriscaldamento nei comuni di Rezzato e Mazzano.

In questa ipotesi che per fortuna è stata rigettata dalle Amm. Comunali, vi sarebbe la creazione di un ecomostro che concentra in un solo impianto una cementeria, un inceneritore una centrale elettrica ed una centrale termica con effetti nel breve ,medio e lungo termine devastanti per la salute e per l’ambiente.

Al 3 febbraio2011, la centralina di rilevamento delle pm10 a Rezzato tocca il livello di 154 mg per metro cubo, più del doppio del livello d’allarme. Un dato inquietante che pone i comuni di Rezzato e Mazzano al livello delle grandi e caotiche capitali dei paesi in via di sviluppo per quanto riguarda la qualità dell’aria che respiriamo. Un dato che spaventa vista la forte presenza di patologie respiratorie nella zona, tra le prime in Europa. Un dato che getta delle pesanti ombre sul futuro di questo territorio, già martoriato in questi anni da una feroce urbanizzazione che ha drasticamente ridotto la superficie di suolo boschivo, agricolo e di spazio “libero”, dal passaggio di alcune delle grandi arterie del traffico bresciano (statali, tangenziali e autostrada) e dall’alta concentrazione di attività produttive ed estrattive tra le quali svetta il complesso del gruppo Italcementi e la relativa cava che sta ingoiando i monti retrostanti.

 

Ed è proprio l’accordo di dicembre 2010 tra il gruppo Italcementi e le amministrazioni comunali di Rezzato e Mazzano a pesare come un macigno. Successivamente alla bocciatura della proposta di Italcementi ad ampliare la propria metratura, ingoiando una parte di suolo agricolo e la pista ciclabile Gavardina, ci troviamo oggi in una situazione altrettanto grave.

Certo non si avrà un ampliamento di superficie, ma la produttività aumenterà comunque a 2600 ton/die grazie al nuovo camino. Gli studi di Italcementi sull’abbattimento delle emissioni sono limitati alle polveri sottili, ma sappiamo benissimo che l’impatto ambientale dell’impianto ha molte altre problematiche. Le cementerie sono fra le maggiori industrie che emettono anidride carbonica in atmosfera,le emissioni attuali di CO2 dell’impianto di Mazzano –Rezzato sono quantificate fra 850.000 e 900.000 t/a.(con buona pace del protocollo di Kyoto).

Vengono utilizzati oltre ai combustibili fossili tradizionali altre fonti che vanno dai copertoni, ai solventi, agli oli esausti, al pet-koc, alle farine animali, tutti combustibili di pericolosità superiore a quelli bruciati in un inceneritore, oltre che allo stesso cdr(rifiuti urbani).

L’indagine sulle emissioni, si è limitata per ragioni di costo(o convenienza?), solo ai livelli di polveri sottili. Non sono state tenuti in considerazione infatti residui di combustione quali metalli pesanti, Arsenico, Cadmio, Cromo, Rame, Piombo, Mercurio, Nichel e diossine, tutte sostanze che hanno a che fare con la produzione di cemento, come confermano dati scientifici resi noti dall’Agenzia per la Protezione Ambiente americana.

 

L’AMPLIAMENTO  ITALCEMENTI è INUTILE E NON PRODUCE LAVORO

Non c’è da meravigliarsi quando una multinazionale propone un investimento, c’è solo da domandarsi su cosa taglierà e chi ne pagherà le conseguenze.

Guardiamo oltre alla nostra provincia, la crisi incalza, la richiesta di materiali per l’edilizia è ferma, il calo della vendita di cemento  2006/2011 è stato del 29,6%, gli stessi stabilimenti di italcementi chiudono ovunque, questo è il loro risparmio, concentrare  il lavoro in un unico sito per tagliare le spese logistiche e i salari.

Sassari, 31 ottobre 2010 è la data ufficiale di cessazione dell’attività del cementificio di Scala di Giocca, 31 i dipendenti licenziati e numerose ditte dell’indotto messe in ginocchio.

Chiudono  nel giugno 2012 lo stabilimento di Porto Empedocle(Agrigento) e Vibo Valentia, 176 lavoratori licenziati.

Nel Dicembre 2012 Italcementi chiude la produzione da Monselice PD, con l’indotto 200 persone rimarranno senza lavoro, il tutto dopo il no della cittadinanza al progetto di revamping che ora attueranno a Rezzato.

Complessivamente dati alla mano, da dicembre 2012 sarà cassa  integrazione straordinaria per 665 dipendenti dell’Italcementi, precisamente 423 negli impianti produttivi, 205 nelle sedi di Bergamo e Roma, 37 nella rete vendita.

Nello stabilimento di Rezzato il revamping non produrrà nuovi posti di lavoro, i dipendenti sono attualmente 128, un numero irrisorio se paragonato al fatturato del gruppo e se si considera la popolazione in età da lavoro tra Rezzato e Mazzano, in prospettiva poi all’età pensionabile sempre più elevata. Non ci saranno quindi nuove assunzioni di giovani.

 

QUALE ATTENZIONE ALL’AMBIENTE?

Novembre 2007 ad Isola delle Femmine (Palermo) dopo numero denunce il Ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio attiva il Comando dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente per assumere tutte le informazioni disponibili relativamente alla ex cava Raffo Rosso, utilizzata come sversatoio a cielo aperto del pet-coke, e più in generale di emissioni nocive riguardanti questo agente molto dannoso per la salute e l’ambiente oltre che  la licenza Edilizia concessa il 2001 risulta essere illegittima in quanto l’area era destinata a “VERDE AGRICOLO” zona “E” come recita il Piano Regolatore Generale di zona.

Novembre 2011 città di Modugno e il confinante territorio di Bitetto. L’area occupata dalla ex Italcementi, stabilimento chiuso definitivamente nel 2006, è oggetto da anni di interventi di demolizione e bonifica per la restituzione dell’area  alla collettività.  All’interno del cantiere sono stati trovati manufatti in amianto in via di friabilizzazione, non segnalati nemmeno agli operatori che lavorano senza protezione per le vie respiratorie e dpi. L’azienda sostiene infatti che la demolizione concerne solo manufatti in cemento, contrariamente a quanto riscontrato dalle rilevazioni dell’Arpa Puglia e una recente sentenza del Tar Puglia sulla questione .

Ottobre 2012 Colleferro come Taranto? Nel paese in provincia di Roma i carabinieri del Noe, il Nucleo Operativo Ecologico, hanno sequestrato una parte dello stabilimento Italcementi per violazione delle norme che regolano le emissioni nocive. Sono stati controllate le emissioni dei camini e 14 su trenta sono risultati fuori legge  le eccessive emissioni, per mancati monitoraggi e per discordanti dichiarazioni fornite dall’azienda per il rilascio dell’Aia, sul posizionamento dei rilevatori di emissioni .

 

CEMENTIFICI O INCENERITORI ?

Rezzato e Colleferro sono due impianti molto simili, il primo addirittura del 1968 mentre il secondo del 1976.

Non ci si capacita di come un impianto così datato come Rezzato riesca ad ottenere nel 2004 la certificazione ambientale Iso14001, mentre l’altro pochi anni dopo viene sequestrato per le emissioni.

Resta il fatto che a Rezzato l’azienda come riscontrato da studi commissionati dalle amministrazioni ha un peso inquinante sulla qualità dell’aria del 70%, anche riducendo le proprie generiche emissioni di polveri sottili del 22%(come dichiarato da Italcementi) rimarrebbe a pesare del 54,6% sul totale degli inquinanti, stiamo parlando di una proiezione ipotetica fornita da Italcementi, il 2018.

Sappiamo però che il ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha annunciato che entro il 30 aprile 2013 arriverà il decreto che farà uscire i Css(combustibili solidi secondari) dalla gestione dei rifiuti e ne stabilirà l’impiego nei processi industriali e in particolare nel settore del cemento, questo significa che l’attuale studio di Italcementi sull’abbattimento delle emissioni non sarà più valido, perché varierà il combustibile utilizzato e quindi la tipologia di filtro da utilizzare.

Utilizzare i rifiuti non è solo più conveniente rispetto al carbone, ma è anche una fonte di guadagno, perché i cementifici, attualmente, vengono retribuiti  dagli smaltitori di solventi o di RSU, i quali trasferiscono i costi sui soggetti produttori di rifiuti. Anche questi ultimi ottengono un beneficio economico destinando i propri residui ai cementifici.

Sebbene non sia facile calcolare i costi, sembra che lo smaltimento di una tonnellata di rifiuti in un inceneritore specializzato costi fino a sei volte di più rispetto ad un cementificio.

Se anche in Italia i cementifici otterranno il permesso permanente a bruciare questi tipi di “combustibili”, le miscele risulteranno sempre più ricche di rifiuti, visto che a una maggiore quantità di rifiuti corrisponde un maggior profitto per chi si occupa del business  dei combustibili fatti con le materie di scarto. In numerosi paesi europei e negli USA, molti forni bruciano rifiuti con un potere calorico assai esiguo e funzionano quasi esclusivamente come impianto di smaltimento.

Se in questa totale deregulation si arriverà a dare via libera ai cementifici per l’uso dei rifiuti, si perderà ogni tipo di controllo sui flussi di rifiuti e sulle tecnologie di smaltimento. Inoltre si perderà totalmente il controllo sulle emissioni dai cementifici privi di sistemi di abbattimento adeguati e impossibilitati a prevenire la formazione ed il rilascio di sostanze inquinanti come diossine, furani e metalli pesanti. È probabile che il riciclaggio delle merci verrà penalizzato, ma non la produzione che anzi trarrà nuovi impulsi da questa situazione.

I gestori dei cementifici assicurano che i loro forni effettuano le operazioni di smaltimento in maniera più efficiente degli inceneritori di rifiuti pericolosi. Per esempio, sottolineano che i forni bruciano a temperature più elevate (una media di 1400 °C fino ad arrivare ad una temperatura max di 2000 °C) e che sono caratterizzati da un tempo di permanenza (=tempo durante il quale i rifiuti permangono nel forno) di almeno 5 secondi, rispetto ai 2 secondi dell’inceneritore.

Questo solo in teoria, infatti nel forno del cementificio la temperatura non è uniforme e può subire brusche variazioni. Inoltre, quando all’interno del forno il livello di CO (monossido di carbonio) aumenta, i precipitatori elettrostatici, che filtrano parte della polvere nei gas di scarico, devono essere disinseriti per prevenire un’esplosione ed il forno deve essere chiuso, circostanza che provoca una ulteriore brusca diminuzione della temperatura. L’aumento di CO chiamato “CO trip”, si verifica ogni due o tre giorni, sia che vengano bruciati rifiuti, che carbone o coke di petrolio e, in genere, è seguito dall’emissione in atmosfera di densi fumi non filtrati, carichi di gas incombusti, diossine, acidi e particolato pieno di metalli pesanti.

Per quanto riguarda l’efficienza dello smaltimento dei rifiuti pericolosi, degli RSU e RDF, la quantità di ossigeno e turbolenza nel forno riveste la stessa importanza della temperatura e del tempo di permanenza. Quando la quantità di ossigeno è adeguata, cioè in forte eccesso, si ha una combustione soddisfacente. Se, al contrario, l’ossigeno non è presente in quantità adeguata, il processo di combustione resta incompleto e quindi viene favorita la formazione di prodotti tossici, persistenti e bioaccumulabili come le diossine, idibenzofurani, i PIC (prodotti della combustione incompleta) o permette ai rifiuti pericolosi di “resistere” all’incenerimento. Gli inceneritori di rifiuti utilizzano da 4 a 7 volte più ossigeno di un forno per il cemento che, essendo progettato per produrre clinker, ha bisogno di meno ossigeno. Quindi,anche se la temperatura operativa di un forno può essere, in alcune parti di esso, superiore a quella di un inceneritore, la miscela aria/combustibile all’interno di un forno è inferiore, con la conseguenza che, come camera di combustione, risulta meno efficiente, non omogenea e perciò inadeguata. Quindi le Polveri, le diossine, i furani e i PCB, nocivi alla salute, vengono continuamente prodotti dalle reazioni chimiche assieme a grosse quantità di acido cloridrico, all’interno e poi al di sopra delle ciminiere degli impianti.

 

COSA GUADAGNA LA CITTADINANZA ?

Le sostanze volatilizzate dai camini dei cementifici creano pericolose ripercussioni sulla nostra  salute attraverso l’aria che respiriamo ma anche attraverso il cibo coltivato in zona e l’acqua piovana che ricarica la falda da cui beviamo, tutto ciò è provato da indagini epidemiologiche  recenti della  Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori, cui cito alcune frasi:” Il calcolo del Rischio Attribuibile ci dice che il 38% circa di tutti i ricoveri tra i bambini (quindi 105 su 274) potrebbero essere evitati se la concentrazione di NOx fosse non superiore a 110 μg/m³ in tutta l’area considerata”  e  “In termini di salute pubblica, dai Rischi Attribuibili calcolati si può inferire che quasi un quarto dei ricoveri tra gli adulti e più di un terzo dei ricoveri tra i bambini potrebbero essere risparmiati se le concentrazioni degli ossidi di azoto fossero abbattute” oltre a

“Gli ossidi di azoto e le polveri sottili (PM10 e PM2.5), infatti, sono direttamente correlabili con

effetti sulla salute. Inoltre l’indagine sulla qualità dell’aria ha evidenziato una situazione

particolarmente compromessa, con valori di concentrazione elevati, soprattutto nella

campagna di misure invernale nella quale i valori limite per la protezione della salute umana

vengono sistematicamente superati”.

 

QUALE SOLUZIONE PER LIMITARE IL DANNO DI ITALCEMENTI ?

Considerando che in Italia non esistono delle leggi valide per la tutela ambientale e direttive europee vengono interpretate e raggirate a favore di pochi noti(Basti pensare al contributo Cip6 per le rinnovabili tra i cui beneficiari c’è Ilva di Taranto e ogni sorta di impianto di Incenerimento), che quando imprese sforano con emissioni o si verificano l’aumento di inquinanti nell’ambiente in cui viviamo, i nostri governi alzano i suddetti valori, così nessuno si allarma e si può pubblicamente dire che i valori sono nella norma.

Quando due piccoli comuni, forse sbagliando accettano un ampliamento in cambio di oneri che danno la possibilità di sistemare i conti pubblici, sono inoltre consapevoli che la parola definitiva sta alla Regione Lombardia, che è l’emblema di un modello di corruzione istituzionalizzata e senza pari, forse lo fanno perché questo sistema istituzionale non dà scampo, salvo quando è la magistratura a trovare illeciti e a sequestrare industrie o siti che inquinano o risultano contaminati divenendo un pericolo per tutta la popolazione.

Per farci un idea la  stessa magistratura che ha sequestrato l’ilva ha poi dovuto fare i conti con il governo che con un decreto ad hok ha sdoganato i prodotti sequestrato rendendoli vendibili, ancor prima di trovare fondi per la bonifica e per il pagamento della mobilità agli operai, questo la dice lunga sul potere di queste multinazionali sui governi, tanto da farci dubitare che a governare siano loro insieme ai grossi gruppi finanziari che le sostengono e che il nostro parere da cittadini valga meno di niente.

Per quello che  è emerso dagli studi fino ad oggi è che un impianto di quel tipo andrebbe chiuso immediatamente, o obbligato come minimo a modificare i suoi filtri e ad utilizzare come combustibile convenzionale solo carbone che quantomeno non emette nanoparticelle di sostanze cancerogene oltre a quelle della produzione stessa, ma mai a rigor di logica andrebbe potenziato.

La cosa che rimane a noi cittadini è  acquisire i dati sulle quote di inquinamento, sul rilevamenti delle centraline, sull’incidenza delle malattie, sui ricoveri, sul numero di malformazioni e di aborti. Poi analizzarli correttamente e  diffonderli. L’informazione mediatica si sa è di parte, continuiamo a tenere alta la guardia, stanno facendo profitto sulla nostra salute.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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