La giornata di mobilitazione contro la devastazione ambientale ha messo in connessione i territori attraverso il linguaggio delle lotte
Stop Biocidio nasce dappertutto
di Antonio Musella
Certe volte si è convinti che un tema che in un territorio assume aspetti drammatici non possa mai finire relegato ai margini dell’agenda politica. Ed un senso di amarezza e rabbia monta quando invece scopri che il teatrino della politica, delle passeggiate telecomandate o dello strillo a buon mercato, riesce ad ignorare le questioni vere come quella del biocidio in Campania.
Renzi, Grillo e tutti gli altri partiti politici che sono venuti a fare campagna elettorale per le elezioni europee in Campania, si sono ben guardati dall’affrontare di petto la vicenda del biocidio e della terra dei fuochi. Qualche battuta comoda, qualche slogan buttato qua e là, ma nulla di più. Il dramma dell’inquinamento in Campania è esploso come questione nazionale poco meno di 5 mesi fa, ed oggi viene relegato a questione marginale. Non ne parla il presidente del consiglio che pure era arrivato in passerella a Napoli appena eletto segretario dei democratici; ne parla in maniera disarticolata e senza proposte concrete Beppe Grillo, nonostante la presenza nelle sue liste di alcuni (per la verità pochi) attivisti di quel movimento; se ne guarda bene la destra che sul tema ha armi spuntate ed è già stata inchiodata alle sue responsabilità derivanti dalla gestione berlusconiana dell’emergenza rifiuti e da un sostanziale immobilismo dei 4 anni di governo della giunta Caldoro in Regione Campania.
Chissà forse la terra dei fuochi si è spenta? Forse tutto è stato risolto?
Il nuovo governo Renzi si era presentato nelle terre del biocidio campano, con l’ennesima passerella di un Ministro nella chiesa di padre Maurizio Patriciello. Da quel giorno il Ministro Galletti da queste parti non si è più visto ne tantomeno il suo dicastero ha preso provvedimenti rilevanti sulla questione.
I movimenti invece non sono rimasti a guardare.
Il fiume in piena delle mobilitazioni dello scorso autunno non è servito solo a scuotere l’opinione pubblica nazionale rispetto al dramma della terra dei fuochi, ma è servito soprattutto a quel tessuto di comitati, associazioni, reti sociali che si impegnano da tempo sul proprio territorio, a comprendere che non si è soli. Lo hanno detto i movimenti più volte: il problema dei veleni nel nostro paese non è una questione circoscritta alla Campania ma è un dramma che riguarda tutti i territori.
E cosi’ in questi mesi abbiamo assistito a due fenomeni paralleli. Da un lato in Campania il governo ci veniva a dire che solo il 2% dei terreni è inquinato ed abbiamo assistito all’invio dell’esercito che ha svolto un monitoraggio che poteva essere fatto forse in maniera anche più efficiente dalle forze di prevenzione territoriali. In questo modo si è mortificata la straordinaria mobilitazione popolare dell’autunno scorso, non solo non mettendo in campo soluzioni efficaci ma ignorando le proposte dei comitati contro il biocidio.
Parallelamente nelle altre regioni del paese Stop Biocidio nasceva dappertutto!
Le lotte nel Lazio contro le discariche e contro l’acqua all’arsenico; quelle in Abruzzo contro il disastro creato dalla Montedison di Bussi che ha avvelenato la Val Pescara e contro le trivellazioni petrolifere; quella a Taranto contro le discariche dei veleni e contro i fumi dell’Ilva; ed ancora la lotta contro le grandi navi a Venezia e la battaglia contro il Pcb e le nocività a Brescia. Il fiume in piena è arrivato in tutta Italia. In Campania i comitati si sono assunti il compito di provare a mettere in rete queste esperienze e costruire finalmente un network di realtà territoriali che si battono contro il biocidio, un modo per intrecciare queste lotte ed imporre al centro dell’agenda politica del governo nazionale i temi della lotta ai veleni, delle bonifiche, della partecipazione dei comitati al risanamento dei territori. Una rete nazionale che colleghi le battaglie dei singoli comitati contro il biocidio.
Sullo sfondo la grande questione: chi decide sui territori?
Nel nostro paese probabilmente il ruolo dei comitati civici va ben oltre quello delle singole vertenze o battaglie sociali che li caratterizzano. Oggi intorno a questa forma di autorganizzazione dal basso, così lontano dal teatrino della politica e così concreta rispetto alle degenerazioni astrattive di una certa comunicazione strillata, rappresentano le nuove istituzioni democratiche sui territori. I soli nodi capaci di raccogliere una domanda di partecipazione politica ed unire alla concretezza delle vertenze territoriali la prospettiva di un modello di sviluppo alternativo.
La giornata del 16 maggio, giornata di mobilitazione nazionale su tutti i territori contro la devastazione ambientale ed in difesa del territorio, nasce da queste istituzioni del comune.
I territori hanno provato a parlarsi attraverso il linguaggio delle lotte sociali, attraverso la pratica delle denuncia e della individuazione precisa dei responsabili dei disastri ambientali italiani.
In Campania 25 comuni si sono mobilitati tra gazebo, presidi ed azioni culminate con l’occupazione del consiglio comunale di Napoli, a Pescara gli attivisti sono andati alla sede centrale della Asl per accendere i riflettori sull’avvelenamento dell’Abruzzo indicando in Medoil, Montedison e Terna i responsabili della devastazione del territorio; a Roma Stop Biocidio ha fatto visita all’ARPA Lazio ricordando che da oltre un decennio a Viterbo ed a Roma Nord si beve acqua all’arsenico; infine in Puglia a Grottaglie gli attivisti hanno messo in luce i disastri delle discariche della provincia di Taranto. Tutto questo era stato anticipato dalla bella manifestazione di Brescia del 10 maggio scorso. Un percorso nuovo che finalmente mette in rete i territori e prova a far convergere le esperienze delle comunità resistenti in lotta contro il biocidio.
Mentre qualcuno vi verrà a raccontare di “stare sereni” e qualcun’altro vi verrà a dire che “vincono loro”, i comitati Stop Biocidio ci raccontano di quella parte di paese irriducibile al teatrino della politica dove il protagonismo popolare, senza delega e senza click, indica la strada della trasformazione.
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