Toxic City 3: una produzione industriale che non conosce crisi

ANDREA BIANCONI – TOXIC CITY 3. UNA PRODUZIONE INDUSTRIALE CHE NON CONOSCE CRISI: DIOSSINE & PCB.

*) Parte 1: questioni generali.

1) “Diossine” è un termine che nell’uso comune va a inglobare una lunga fila di  veleni il cui nome generale è POP. Le diossine sono un sottogruppo dei POP. Altri famosi sottogruppi sono i PCB, i pesticidi, il DDT. Nel seguito uso spesso il termine “diossine” per dire “POP”, adeguandomi all’uso corrente. Dove serve preciso PCB eccetera.

POP (persistent organic pollutant) vuol dire tre cose:

a) Pollutant: è roba tossica.

b) Organic: a monte ci sono le plastiche, o il petrolio.

c) Persistent: quando ce l’hai te lo tieni, nell’ambiente e nel corpo.

A loro volta diossine, PCB, e pesticidi, non sono tre sostanze ma tre gruppi di sostanze. In ogni gruppo ci sono sostanze più o meno pericolose. Infine, sia nella categoria “diossine” che nella categoria “PCB” sono normalmente incluse sostanze che a rigore non sarebbero nè diossine nè PCB, ma hanno storie ed effetti simili. In presenza di un evento grave bisogna essere precisi, perchè i dettagli possono fare molta differenza. Ad esempio la pericolosità delle diossine è meglio studiata di quella dei PCB.

2) Le sostanze organiche (ex carbone o petrolio) sono composti di carbonio, ossigeno, idrogeno, ed altra roba.Il carbonio grazie ai suoi quattro legami chimici può legarsi con tre o quattro altri atomi. Se uno di questi è un ossigeno, l’ossigeno ha due legami e quindi può legarsi ad un altro carbonio e così via. Questo consente la formazione di molecole lunghe/larghe quanto si vuole, con le quali puoi riprodurre qualsiasi struttura rigida o flessibile la tua fantasia sappia immaginare: catene, reti, tutto. Quindi la chimica “organica” (= del carbonio) è la più versatile e redditizia, da parecchi decenni.

Le sostanze più pericolose, diossine/PCB inclusi, includono atomi di cloro. Per cui normalmente hanno come “antenato” il PVC (cloruro di polivinile), che è la plastica più usata di tutto il pianeta: le bottiglie di plastica, i vecchi dischi in vinile, gran parte delle confezioni, tutto PVC. La famigerata azienda di Marghera produceva PVC. Di suo, il PVC non fa niente di male (in realtà la cosa è discussa, ma diciamo che è meno pericoloso di tanta altra roba). Però i processi di produzione del PVC possono produrre “accidentalmente” diossine o altri veleni (caso Marghera). Ma soprattutto quando lo brucio sotto i 1000 gradi produco pericolosi inquinanti al cloro. Se accendo un falò con bottiglie di plastica, sto producendo diossine. Come le diossine, il PCB può venir immesso nell’ambiente attraverso combustione di plastiche, ma anche via canali più diretti, perchè ha un passato di sostanza legale. Il PCB si poteva produrre e usare nella fabbricazione di componenti elettrici, vernici, e tanti altri prodotti, fino a tempi recenti. Quindi poteva provenire da falle nel sistema di produzione, e questo è stato il caso della azienda Caffaro fino al bando per questo materiale. Ma di oggetti contenenti PCB il mondo è ancora pieno, ed anche operazioni meccaniche su questi oggetti sono in grado di riversare PCB nell’ambiente, per non parlare di fusioni e combustioni. Per questa ragione, i terreni circostanti i mulini che frantumano automobili sono i più contaminati di PCB in assoluto. La Caffaro produceva PCB, fin dal 1930, su licenza della nota fondazione benefica Monsanto. La cosa non aveva niente di illegale, solo che evidentemente dal processo produttivo una parte del PCB trovava la strada per la porta d’uscita. Le acciaierie producono diossine e PCB perchè bruciano rottami pieni di vernici, di plastiche e di olii che nessuno ha voglia di stare a smistare prima. I vincoli legali sui fumi prodotti dai rottamatori sono molto minori di quelli sugli incineritori, dato che lo stato italiano non riconosce al rottame la qualifica di rifiuto, caso unico nel mondo civile.

Gli incineritori hanno i vincoli legali, a patto però che qualcuno controlli che siano rispettati. In un incineritore nelle zone dove la temperatura è decisamente inferiore ai 1000 gradi si producono diossine, dove è superiore le si distrugge. Quindi, a spenderci l’impianto può essere poco inquinante (su questo versante). Ci si deve spendere perchè la spazzatura “da incineritore” non è un gran combustibile. Per tirar su la temperatura occorre aggiungere altro. Ad esempio carta o idrocarburi. Però allora la favola che “fa risparmiare emissioni” non sta in piedi, e si perdono i sussidi dello stato che sono la leva del gioco. Sia le acciaierie che l’incineritore possono filtrare i fumi in uscita, e però anche questo costa salato. Il traffico automobilistico per questo tipo di inquinamento è un problema minore.

3) Quanto sono pericolosi i POP/diossine? In realtà di diossine in giro ce ne sono molto poche, perchè un grammo di diossina è più pericoloso di un grammo di plutonio attivo in una centrale. Bastano poche decine di microgrammi ad ammazzare una persona (microgrammo = milionesimo di grammo). In una situazione tipo Seveso o Bhopal hai il problema immediato, sul genere attacco a Caporetto con gas nervini. Ma quello che preoccupa veramente è l’effetto di lungo periodo, se in corpo ne abbbiamo dosi che non sono immediatamente mortali. I POP sono “persistent”: la diossina e i pesticici che hai in corpo oggi, se ti trasferisci a Tahiti, te la ritroverai ancora tra dieci anni. Abbiamo ancora in corpo e nell’ambiente intorno a noi dosi di DDT tali da far pensare che questa sostanza sia in uso attuale, mentre è stata tolta di circolazione da molti decenni.

La pericolosità è a livello biologico “di base”. Ossia non agisce sulle macrostrutture, ma sulla capacità del corpo di utilizzare il DNA. Questo rende gli effetti dei POP simili a quelli di un materiale debolmente radioattivo, più che di un veleno di tipo classico. La lunga catena del DNA è un manuale di istruzioni, che il resto dell’organismo va a “leggere” selezionando sottosequenze della catena. Ogni sottosequenza è legata alle istruzioni per eseguire un compito specifico. Supponiamo che si tratti di creare una certa proteina. La sottosequenza utile viene letta e ne viene creata una copia RNA. La “fotocopia” RNA serve (i) a lasciare in pace l’originale (il DNA) mentre il corpo utilizza le istruzioni fotocopiate, (ii) a trasferire le istruzioni dove servono. La copia RNA viene usata per creare una sorta di “stampo” con cui verrà costruita la proteina.

Il processo che parte dalla scelta della sequenza utile di DNA, e finisce allo stampo, si chiama “trascrizione”. Alla fine è come uno che va in biblioteca, fotocopia quattro pagine di un lungo libro, se le porta a casa e le usa per costruire qualcosa. Il ruolo delle diossine è far funzionare male la fotocopiatrice. Da un punto di vista biologico, le diossine sono “parole” con la capacità di sostituirsi ad altre parole nelle fotocopie. Queste porteranno a costruire uno stampo sbagliato. Tra le conseguenze, una nota perchè immediata è il diabete, perchè viene alterata la capacità del corpo di creare insulina quando serve. Un’altra ormai tristemente verificata è alterare la crescita in un bambino (saltano le istruzioni per creare proteine etc). Poi ce n’è tutta una fila (in particolare, i tumori) sulle quali si hanno ragionevoli sospetti, ma si fatica ad accumulare statistica in modo selettivo: nei posti dove si accumula un tipo di veleno legato all’inquinamento, se ne accumulano altri cento (per dire, metalli pesanti). Che la gente muoia troppo di frequente lo vedi, ma arrivare a relazioni causa-effetto precise diventa un’impresa.

6) Per la nostra autodifesa, un aspetto fondamentale poco conosciuto è il modo in cui diossine, PCB, eccetera, si distribuisce nella catena alimentare. Diossine, PCB e pesticidi che respiriamo non sono un problema, alle dosi bresciane. Il problema sono quelli che MANGIAMO:

a) La diossina (o il PCB, o i pesticidi, fa lo stesso) viene emessa nell’aria o in acqua, e da lì si deposita nell’ambiente: sulle e nelle piante.

b) Un coniglio mangia le piante, e ha dei livelli di diossina in corpo. Siccome mangia piante tutti i giorni, e la diossina non si smaltisce, il coniglio accumula più diossina in corpo rispetto a ciascuna delle piante che si è mangiato.

c) Una volpe si mangia i conigli. Siccome se ne mangia tanti, alla fine la volpe ha in corpo più diossina che ognuno dei conigli che ha mangiato.

d) Noi ci mangiamo le volpi e siamo quelli che hanno in corpo più diossine pesticidi e PCB di tutti.

Per fare due esempi:

a) gli americani vegetariani hanno in corpo meno di un quarto dei pesticidi che hanno in corpo gli americani con dieta standard.

b) il pesce più grosso mangia il più piccolo, col risultato che tra i pesci la concentrazione di diossina per kg di peso è proporzionale alle dimensioni.

7) le diossine non si sciolgono in acqua, però si sciolgono nei grassi. Il risultato triste è che il latte ne contiene in grossa quantità. Questo rende i bambini l’anello più debole della catena, i più esposti alla contaminazione da diossina, oltre che i più esposti ai suoi effetti per il ruolo che la creazione (alterata) di proteine ha sulla crescita. Secondo una relazione (indirizzo web alla fine) di Elena Fattore, dell’Istituto Mario Negri, in Italia i bambini in fasce hanno in corpo più diossine di tutti.

8) Girano varie statistiche sui contenuti di diossine pesticidi PCB etc negli alimenti ordinari.In quelle americane, quello messo peggio di tutti è il pesce di allevamento e d iacqua dolce. Il pesce oceanico non sembra dare  problemi. Tra le carni, il pollame è meno peggio del maiale che è meno peggio dei bovini (non so perchè, e non è detto che l’america sia uguale all’italia). I caseari sono una questione delicata, a seconda del prodotto ne hai più o meno. Il latte non è messo male, ma nel latte gran parte è acqua, chiaramente i veleni si concentrano nelle parti utili. Per l’Italia, la già citata relazione di Elena Fattori riporta (senza fonte) una distribuzione abbastanza equilibrata tra gli alimenti come fonti di diossine e PCB, ma con due “punte” che spiccano: da una parte il latte e i derivati, dall’altra il pesce. Non si distingue tra latte e formaggi, nè tra pesce di acqua dolce e non. Non sembrerebbe esserci vantaggio in un’alimentazione vegetariana, a differenza del caso americano.

9) Tra i caseari e non solo, molto è legato anche al tipo di confezione. Infatti, gli avvolgimenti di plastica “elasticizzata” facilmente contengono “ftalati“, che sono un POP anche loro, e che vengono rilasciati dalla confezione agli alimenti. Gli ftalati servono ad elasticizzare la plastica. In Europa le normative stanno cominciando ad interessarsene. Però al momento ci si limita a mettere fuori legge i giocattoli cinesi che li contengono, con la scusa che il pupo li potrebbe ciucciare. Se il pupo si mangia il formaggino avvolto nelle stesse identiche sostanze, va tutto bene. Vedremo, è un settore in evoluzione, potrebbero esserci adeguamenti normativi nei prossimi anni.

*) Parte 2: Brescia e dintorni.

A Brescia abbiamo numerose possibili sorgenti di POP. Le tre più note sono la Caffaro, la filiera del riciclaggio di rottami, l’A2a. Ognuna di queste è un libro a sè, non ricostruisco nei dettagli queste storie, mi limito ad alcuni aspetti di interesse attuale. Caffaro, ovvero Never Ending Story. La Caffaro copre quasi l’intero 1900. La prima caratteristica: è stata una azienda specializzata in veleni: mercurio, composti di arsenico e piombo, soda caustica, cloro e composti, pesticidi. Purchè fosse una porcheria per quelle mura passava. La seconda caratteristica è che non era una azienda, era un colabrodo: tutti i veleni che venivano prodotti o utilizzati riuscivano regolarmente a uscire dalla porta di servizio, contaminando progressivamente 10 km quadri di territorio. E’ un’azienda di record: produceva da sola una quantità di PCB pari ad 1/4 di quello totale prodotto negli Stati Uniti. Ed al mondo è l’unica azienda del genere che si trovi all’interno di una città. Infine, è un’azienda distratta: nel 1970 il concessore Monsanto della licenza per la manifattura di PCB avverte la Caffaro di avere praticamente smesso la produzione di PCB negli USA, dato che ormai tutti sanno che è una sostanza pericolosa, e si preventiva un pesante strascico di grane giudiziarie. Nel 1972 ne viene vietata la produzione in Giappone a seguito incidente con 2000 intossicati. Alla Caffaro sono sordi e fino agli anni 80 continuano a produrre PCB per mille generi di oggetti destinati a finir dispersi in modo incontrollato nell’ambiente (esempio: vernici). E ovviamente, fintanto che produce PCB la Caffaro continua anche a perderlo fuori dalle mutande. Sotto la Caffaro abbiamo il tipico terreno bresciano: alcune decine di metri di “spugna” alluvionale, e poi sotto le falde, ossia un sistema di scorrimento di acque in profondità. In superficie abbiamo un intrico di corsi d’acqua, che più a valle confluiscono nel Mella. In superficie i livelli di contaminazione da PCB sono più alti che a Seveso, dove però il rilascio è stato immediato e non pluridecennale. E’ presumibile che in profondità la “spugna” alluvionale abbia avuto il tempo di impregnarsi fino a trasformarsi in un deposito di importanza mondiale di inquinanti.

Come viene alla luce il problema? perchè il prossimo disastro si protegge dalle code del precedente: nel 1994, prima di inaugurare l’incineritore, l’A2a fa analizzare tutto il terreno di Brescia, in modo che negli anni seguenti non si possa accusare l’incineritore per le porcherie che già stanno lì da un pezzo. E così si scopre che i terreni nei paraggi e a sud della Caffaro sono impregnati di PCB. La zona interesata dalla contaminazione è chiamata “Cono Caffaro”, o”Pera Caffaro”: una specie di triangolo che ha vertice nord alla Caffaro, e si apre verso sud. E il problema non finisce lì: a Passirano, Travagliato, Castegnato, discariche private hanno accolto gli scarti velenosi delle lavorazioni della Caffaro. E lì sono rimasti. Scoprire che 10 km quadri di territorio bresciano sono, dal punto di vista delle leggi di alcuni paesi europei, inabitabili, crea un grosso problema …. alla Hopa di Emilio Gnutti, che negli anni 90 sta comprando tutta Brescia sud per una operazione edilizia di grande respiro. La regione risolve il problema spostando i limiti legali su questa sostanza così in alto da legalizzare praticamente la guerra con armi chimiche. Poi però arriva la legge Ronchi che toglie il bandolo dalle mani della regione, e mette un limite nazionale in linea con le normative di altri paesi. Come risultato le previste successive misure del PCB (1997, 1999) spariscono di circolazione. Chi prova ad avvalersi delle leggi della trasparenza riesce solo a farsi dare dati in forma non comprensibile. Il diavolo proprio non ne vuole sapere di fare i coperchi: la Caffaro confina con gli uffici della 4a circoscrizione, e nel 2000 un violento temporale libera liquami contaminati e scatena una piccola Seveso in quegli uffici, scoperchiando di colpo la pentola.

Il colpo di grazia lo dà il libro di Marino Ruzzenenti “Un secolo di cloro e PCB”. A questo punto, per la Hopa, Caffaro diventa una polpetta avvelenata di cui liberarsi prima possibile. Consueta mossa di prestigiazione all’italiana: la Caffaro viene “sganciata” dal resto del gruppo proprietario e lasciata fallire: pagassero i contribuenti per gli eventuali danni. In Italia si può. Anche perchè il Comune di Brescia (ossia il rappresentante dei danneggiati) che avrebbe potuto chiedere il sequestro cautelativo dei beni delle proprietà scorporate dalla Caffaro, o almeno costituirsi parte civile, gira alla larga dalla vicenda. E non potrebbe fare altrimenti, visto che Gnutti se lo trova tutti i giorni davanti nel consiglio di amministrazione dell’A2a, di cui la Hopa è il principale azionista privato dopo i due pubblici. E visto che Gnutti è (ufficialmente e legittimamente) un importante contributore alle campagne elettorali degli schieramenti politici locali.

Recentemente le spoglie dell’azienda fallita hanno trovato una nuova proprietà, che non sarà tenuta a pagare i danni che non ha causato. Lo stato italiano ha iniziato a far carico ai contribuenti per la ripulitura dell’area contaminata, stanziando 7 milioni di euro. Sono molto pochi. Ma soprattutto giacciono, in attesa di venir usati. L’inizio dei lavori è stato disastroso, con l’azienda appaltatrice che è stata pescata a riversare in discariche non autorizzate la terra prelevata dai siti da bonificare. Nel frattempo si continua a pompare tutta l’acqua che si può dalle falde della zona contaminata, in modo da tener basso il livello della falda ed evitare che venga a contatto con la fascia superiore di terreno, la più contaminata. Vedremo la prossima puntata.

Sono state svolte alcune analisi mediche nelle aree interessate. Ne parliamo nella parte 3.

A2a, ovvero il Castello dell’Innominato.

L’inceneritore che già prima della terza linea era il più grande d’Europa, è allo stesso tempo il più invisibile. Su una trentina di recenti articoli dei principali quotidiani locali (Giornale di Brescia, Bresciaoggi, Edizione Bresciana del Corsera), connessi con questioni ambientali, l’inceneritore compare poco o niente. Giornali, ASL, ARPA, amministrazioni, hanno le idee chiarissime in materia: dell’incineritore meno si parla e meglio è. Questo chiarisce da subito il suo duplice ruolo: da una parte peso massimo dell’inquinamento, dall’altra peso massimo della lobby del pattume. Pensato per bruciare 270mila tonnellate all’anno di rifiuti ordinari bresciani,ne brucia 800mila provenienti da ogni dove, restituendo 170mila tonnellate di rifiuti speciali (meno ingombranti, ma molto più tossici e pericolosi di quelli di partenza) sotto forma di ceneri e polveri recuperate dai filtri per l’abbattimento dei fumi. La materia non si crea e non si distrugge, quindi le 600mila tonnellate che mancano all’appello sono finite nell’aria. Vapor acqueo, anidride carbonica, e porcherie di ogni sorta. L’istituto Mario Negri, e ogni tanto l’ARPA (che ne avrebbe il dovere legale ma ha sempre preferito girare alla larga), due volte all’anno fanno controlli sulle emissioni. C’è da scommettere che quei due giorni sono gli unici in tutto l’anno in cui a Brescia si respira aria. La centralina di via Bettole, non lontana dall’incineritore, venne spenta di corsa e mai più riaccesa quando ci si accorse che segnalava la maggior concentrazione di pm10 della Lombardia.

Una corte di scienziati plaudenti ha dimostrato che si tratta dell’ottava meraviglia del mondo (del resto successe anche al Titanic e alla diga del Vajont), che non solo non inquina ma addirittura pulisce l’aria, che consente di risparmiare emissioni di anidride carbonica, che ha un’efficienza energetica al limite del moto perpetuo. Un dato certo e misurabile è che ai suoi tempi d’oro ha fruttato ai suoi azionisti, comune di Brescia incluso, 60-70 milioni di euro di incentivi dello stato italiano ogni anno. Senza i contributi si sarebbe fermato tutto in 24 ore. Siccome gli incentivi valgono per otto anni, quelli per le prime due linee si sono esauriti, e tra poco lo saranno anche quelli per la terza linea. Da quel momento in poi, l’incineritore si farà arrivare rifiuti solidi urbani da tutta Italia, facendosi pagare per farli sparire. Abbiamo già cominciato, fregando all’incineritore di Dalmine i rifiuti di Bergamo grazie ad un’offerta di 92 euro a tonnellata contro i 140 che chiedeva Dalmine. Alla fine l’Italia sarà divisa in due: chi si fa concorrenza al ribasso per poter bruciare i rifiuti degli altri, e chi spedisce agli altri i propri rifiuti valutando con attenzione l’offerta migliore. Di corrente elettrica l’incineritore ne produce una miseria, circa 70 MW (un reattore nucleare di quelli che dovevamo comprare dai francesi ne produrrebbe 20 volte di più, e la centrale a ciclo combinato di Montalto di Castro 40 volte di più). Va un po’ meglio con l’acqua calda (1/3 delle case di BS), ma quello potrebbe farlo qualunque impianto a cogenerazione: si prende il calore residuo e lo si usa per il teleriscaldamento, che infatti a Brescia c’era prima dell’incineritore ed utilizzava la centrale che si trova di fronte all’incineritore stesso.

Economicamente il bilancio è aggravato dal fatto che per raccattare contributi ci si butta dentro di tutto e di più senza criterio. In mezzo al resto brucia un 28 % di carta, cartone, e legno, senza il quale l’impianto non funzionerebbe: la benzina dell’incineritore è quella. Ma senza l’impiccio di tutto il resto della spazzatura, un impianto dedicato potrebbe bruciare carta e legno con ben maggiore efficienza energetica. L’inclusione di un 8 % di metalli (materia non combustibile, pericolosa nell’aria e nelle ceneri e riciclabile con notevole mercato), e soprattutto di un 30 % di umido (impiccio colossale alla combustione, e materia richiesta per il riciclaggio in compost) la dice tutta sull’assurdità di un meccanismo in cui grazie agli incentivi diventa conveniente inzuppare d’acqua e appesantire col ferro la roba da bruciare, per farsi pagare di più.

Il risultato finale è devastante sotto tutti gli aspetti: a Brescia c’erano 270mila tonnellate di rifiuti “normali” all’anno e ora ce ne sono 170mila di ceneri pericolose e tossiche (in quanto piene di metalli e altre sostanze che non ci dovrebbero stare), che finiscono metà in cementi tossici e metà in discarica. L’atmosfera si riempie di ogni genere di porcherie che nessuno ha il coraggio di controllare con serietà. Materiali da riciclaggio che hanno uso industriale ed agricolo vengono sbattuti nella formace al solo fine di aumentare le cifre su un registro. Si fa finta di produrre energia ed invece sottraiamo combustibile a dispositivi più efficienti.

Tuttavia, l’inquinamento più preoccupante è quello politico: questa fornace di soldi dello stato ha messo al proprio servizio un’intera sinergia di coperture amministrative, connivenze delle agenzie di controllo, e propaganda sia generica sia tecnico-scientifica. Un organismo che viene privato del sistema immunitario può essere facilmente parassitato, ed il risultato è che la nostra città è diventata un Far West dello smaltimento di rifiuti nocivi.

Metallurgie, il comparto al bivio.Questa parte è stata già trattata nell’articolo sui rottami radioattivi (“due chiacchiere sulla toxic city, cominciando dal cesio”). Il problema è lo stesso: l’acciaieria ingoia rottami sulla cui natura non si guarda per il sottile. Riprendo alcune parti da quell’articolo: “Quello delle acciaierie che riciclano rottami senza fare le schizzignose sulla provenienza è un problema di dimensione europea. E noi che lo facciamo con entusiasmo siamo un problema per tutti, perché una volta che il materiale è stato riciclato in prodotti elaborati (non so, un tubo, un vagone, una radio) quello gira l’Europa intera, non si può controllare quanta radiazione o diossina c’è in ogni oggetto d’Europa. Vediamo però la cosa dal lato B: se un paese “civile” ha accumulato un bel mucchio di spazzatura che a casa sua è ingestibile e nessun altro accetta, ecco che Brescia e l’Italia diventano un partner commerciale prezioso.”

“La legislazione italiana è pensata per proteggere chi fa il danno, e siamo all’assurdo di essere l’unico paese sviluppato nel quale il rottame non è classificato come “rifiuto” e non richiede procedure di stoccaggio e sicurezza da rifiuti.” “L’industria siderurgica, per i suoi caratteri di produzione molto differenziata (acciai speciali, ottoni, leghe di rame, alluminio, piombo) richiede una vasta gamma di materie prime. In casa non le abbiamo. Fuori casa, mette le mani sulle materie prime chi è in grado di tenere in piedi politiche imperiali, e non è il caso nostro. Specializzarsi nel riutilizzo del rottame è stato un fatto di pura sopravvivenza.”

“La siderurgia che ricicla rottami è estremamente energivora. I suoi forni  elettrici bevono quasi metà dell’elettricità della provincia. Poi c’è il consumo di carburante per il trasporto del rottame dai luoghi di origine. Quindi come attività lecita può essere condannata alla chiusura, con l’aumento dei prezzi del petrolio. Le scorie da impianto nucleare sono un boccone prelibato, per una azienda in difficoltà: Se ti prendi un carico di rottami “sporchi” (di radiazione o altro) è probabile un grosso sconto.”

Come si può capire, se riesce a infiltrarsi il rottame radioattivo, figuriamoci quello pieno di parti in plastica, che fusa produce diossina. Il settore consuma troppa energia, e non è un settore ad alta tecnologia. Quindi ha davanti a sè tre alternative: (a) chiudere, (b) arroccarsi in forme sempre più plateali di illegalità per riuscire a competere “alla cinese”, (c) cambiar pelle, riconvertire. Fino a poco fa la strada evidente è stata (b), aiutata da un utilizzo massiccio di cassa integrazione. Questo sembra però aver portato il settore in un vicolo cieco. Gli scandali ambientali e sanitari si sono moltiplicati e hanno raggiunto una frequenza insostenibile. L’Alfa Acciai è diventata ospite fisso del Giornale di Brescia, di Bresciaoggi, delle pagine bresciane del Corriere della Sera.

Inoltre le aziende metallurgiche di Brescia Sud si trovano ad assere usate come parafulmine dei misfatti dell’A2a. Del PM10 viene accusato il traffico (che stranamente a Brescia produce più PM10 che a Milano). Della diossina e del PCB non può venir accusato il traffico (gli autoveicoli non producono questo tipo di inquinanti). La Caffaro ha inquinato tantissimo ma in una zona ben delimitata, non può venir accusata di inquinamento a S.Polo. Quindi o uno se la prende con l’A2a o con le acciaierie. Davanti al peso politico dell’A2a, le acciaierie si sono scoperte povere e indifese come un cittadino qualsiasi. Tra le contromisure c’è un importante accordo con il quale 22 aziende del comparto metalli (rintracciabili collettivamente sotto la sigla “Ramet” nell’ambito dell’AIB, l’associazione industriale bresciana) si sono impegnate a migliorare notevolmente la qualità dei loro sistemi di abbattimento dei fumi (giugno 2011). Ne riparliamo sotto.Certamente, il settore sembra ad un bivio. A spingere verso la strada della riconversione sono gli scandali, ma anche e soprattutto il petrolio.

*) Parte tre. Come va a finire?

E’ molto difficile capire verso cosa si stia andando a parare. Negli ultimissimi anni la coscienza del problema, e il senso della situazione arrivata al capolinea, hanno fatto breccia a tutti i livelli, inclusi i protagonisti “dark” della storia. Quindi qualcosa si sta cominciando a smuovere. Allo stesso tempo, incombono una fila di progetti demenziali, ognuno dei quali è un colpo di grazia da solo, e continua a venir ignorato il ruolo dell’incineritore. Quindi ci troviamo di fronte a luci ed ombre, in una situazione dinamica e dagli sbocchi non prevedibili.

Prima di tutto, l’amministrazione. Un proverbio americano dice: se sei in una buca troppo profonda e non riesci a uscire, smetti di scavare. Il primo segnale che una amministrazione seria dovrebbe dare, per far capire che vuole veramente fare uscire tutti dalla buca, è appunto smetterla di scavare. Il che a Brescia vorrebbe dire (a) prendere le aree inquinate ma non intensamente produttive, ripulirle, e riqualificarle in luogo vivibile, (b) evitare di aggiungere ulteriori attività ad alto tasso di nocività, (c) piantarla con progetti da dittatore africano megalomane.

Qui il piatto piange su tutta la linea, il che rende l’amministrazione un interlocutore a credibilità zero: Le bonifiche non si fanno nemmeno quando ci sono 7 milioni stanziati dallo stato o quando c’è una l’ingiunzione giuridica (ignorata da venti anni) di sgombrare una discarica radioattiva. Il parco delle cave rischia di venir costruito attorno ad una discarica di amianto non inertizzato, E se in Val di Susa fossero pianificati i cantieri di Brescia Sud, della TAV non avremmo mai sentito parlare.

Quindi dimentichiamoci l’amministrazione, e consideriamo gli altri attori e le questioni tecniche. Il rapporto tra le associazioni ambientali e l’ARPA è migliorato negli ultimi tempi, se non altro perchè il direttore attuale Giulio Sesana discute coi diretti interessati, e un po’ di misure sta provando a farle. Le quantità di inquinanti “tradizionali” (diossine/pcb, metalli pesanti) vengono misurate un po’ a casaccio, ma vengono misurate e sembrano in diminuzione. A questo concorrono la crisi, ma anche il fatto che molte aziende del settore metalli abbiano cambiato politica. La cosa è formalizzata in un protocollo nel quale 22 industrie del comparto si sono impegnate ad una serie di migliorie tecniche e nell’abbattimento fumi, con cui si dovrebbero ridurre (50-80 %) emissioni nocive di varia natura nel giro di sei mesi o un anno da ora. Anche se non sta scritto da nessuna parte, è evidente a tutti che “in cambio” l’ARPA sta dilazionando i controlli a tappeto già programmati, in modo tale da dare il tempo di applicare l’accordo e sostanzialmente dare un taglio al pregresso.

La posizione “ideologica” di ARPA ed ASL è:

(a) voi dateci i mezzi e noi vi misuriamo tutto quello che volete. Fino a quel momento marameo (dove marameo significa veramente “non rompere sto guardando la partita”: quando queste entità decidono di non fare una cosa che dovrebbero fare per legge, nemmeno la Gestapo le smuove).

(b) una fila di numeri a casaccio non significa niente, vanno decifrati. Sono entrambe posizioni ineccepibili, ma anche strumentalizzabili. Ossia, possono diventare la giustificazione di tutto, dove “tutto” è qualcosa che va al di là della limitatezza di mezzi e delle difficoltà di analisi. Studiamo un esempio concreto ed importante. Quando a S.Polo e S.Bartolomeo vengono trovati POP nell’insalata, all’ASL vengono richieste indagini sullo stato di salute della popolazione circostante. L’ASL risponde: indagini di questo tipo ne abbiamo già fatta una alla Caffaro, la migliore del mondo del genere, pubblicata su rivista scientifica internazionale. Non ha portato a niente di utile, non rompete: coi mezzi attuali sarebbe un altro lavoro inutile. Verissimo. La Caffaro sputava PCB. Lavori scientifici precedenti (ma non una evidenza stringente) portano a sospettare che il PCB aumenti il linfoma non- Hodgkin (un tumore del sistema linfatico, piuttosto diffuso). ASL e laboratori dell’Università analizzano negli ospedali bresciani le cartelle di 500 persone che in anni recenti sono state aggredite da questa malattia, e confrontano con 1500 persone sane.

Si arriva alla conclusione che nel cono d’ombra della Caffaro il rischio di prendersi questa malattia è stato, in media, decisamente più alto che nel resto di BS. Con molte incertezze, e alcuni risultati strani, ma insomma la media dimostra che in zona Caffaro il rischio c’era ed era alto. Il lavoro è anche pubblicato su una buona rivista internazionale. Conclusioni? ZERO. Perchè non sappiamo quanto PCB ci fosse nel corpo di quei 500 malati. E il linfoma in questione, in un ambiente comunque degradato, può avere altre cause.

Per avere risultati conclusivi servirebbe questa intera sequenza:

(a) L’analisi ambientale, ossia la misura delle emissioni e/o il riscontro della presenza degli inquinanti in una certa area, o in un certo ambito (le carni di un supermercato, un reparto di una fabbrica).

(b) L’analisi biologica, ossia la misura degli inquinanti in persone che sono state esposte a quell’inquinante in quell’ambito ben preciso, per un numero di anni che sia noto.

(c) L’analisi epidemiologica, ossia le cartelle cliniche di queste stesse persone.

(d) Ai fini giuridici, occorre anche dimostrare da dove proviene quell’inquinante che è stato trovato nelle carote, in un reparto, etc. Inoltre serve un campione di almeno 100 malati (idealmente 1000) per ogni situazione che si possa pensare fare caso a sè. Le misure devono essere sia ben localizzate, sia diffuse: l’esperienza insegna che lo stesso inquinante, a 1 km dalla fonte, ha valori completamente diversi in due posti a dieci metri uno dall’altro.

Quindi l’ASL sostiene: che ci sia il PCB nelle verdure te l’abbiamo detto, che in quel posto la gente abbia due volte più tumori che altrove te l’abbiamo detto, ma per una indagine sugli anelli mancanti della catena ci servono mezzi che non abbiamo. Aggiungo io: mezzi anche legali, perchè quando ci sono i morti di mezzo occorre che un giudice apra una indagine e ti incarichi di riesumare i corpi.

Un’altra grossa difficoltà è che diossine e PCB si accumulano nel nostro corpo attraverso lo stomaco e non attraverso i polmoni. Quindi il fatto che attorno all’Alfa Acciai la gente si ammali non vuol dire che ha respirato i fumi di quell’azienda, ma che se li è “mangiati”. Supponiamo che l’ASL dimostri che chi vive attorno all’Alfa Acciai ha il corpo pieno di diossina, questo non significa che quella diossina sia uscita da quell’azienda. Occorre identificare una catena che porti la diossina dai fumi della fabbrica al terreno o alle acque, poi da qui alle piante, poi agli animali, infine agli umani, sempre mantenendo la diossina in zona. Altrimenti non è da escludere che ai supermercati di S.Polo arrivino prodotti da altre realtà contaminate, e che l’Alfa Acciai non c’entri.

Per quanto riguarda l’area Caffaro, questa catena è stata individuata: le analisi della ASL mostrano una correlazione forte tra l’aver consumato per una vita alimenti (carni e vegetali) di produzione locale ed i livelli di PCB nel sangue: chi consumava alimenti prodotti nel cono Caffaro ha più PCB in corpo di chi consumava prodotti delle zone confinanti, e chi consumava prodotti di zone lontane ha meno PCB di tutti. Altre analisi dell’ASL hanno cercato di stabilire se gli ammalati bresciani di tumori al fegato avessero in corpo più PCB degli altri, o se un gruppo di Bresciani che anni fa aveva molto PCB in corpo abbia poi avuto spiacevoli sorprese sanitarie. Questi studi si sono rivelate poco conclusivi. In particolare, non sembra ancora essere stato identificato un “posto” significativo dove andare a cercare il PCB nel corpo: nel sangue, nei contenuti grassi del sangue, nei tessuti malati: in tutti i casi sono emersi problemi quando poi si è cercato di utilizzare i dati raccolti per arrivare a qualche conclusione. Insomma, la stessa “scienza medica del PCB” sembra essere ad uno stadio embrionale.

Speriamo di non offrirle troppo materiale di crescita nei prossimi anni: nel caso tristemente noto dell’Eternit, le malattie arrivavano dopo una incubazione minima di 15 anni. Però arrivavano. Su tutto questo continua ad incombere l’incineritore, come uno di quei boss di cui nessuno ha coraggio di parlare ad alta voce. ASL e ARPA continuano ad evitarlo. Il comune gira alla larga dalle sue ciminiere ma non dal suo consiglio di amministrazione, e qui si pone un problema enorme di conflitto di interessi, oltre ad una amara constatazione: i tanti soldi che quello riversa sull’amministrazione consentono di tenere in vita progetti megalomani di “sviluppo”, alieni ai reali bisogni della collettività, e ad alto impatto ambientale.

La città pare rassegnata. Recentemente ha fatto un po’ di rumore la notizia che Brescia si cuccherà i rifiuti degli odiati Atalantini, ma non sembra che sia bastato a far sostituire le tante scritte “Corioni vattene” con più appropriate “Paroli vattene”. E tutti sembrano accettare come una catastrofe naturale inevitabile l’idea che presto arriveranno i rifiuti urbani di Napoli (quelli speciali arrivano già da un pezzo, ma finiranno col termine degli incentivi cip6). E di controllare le emissioni quotidianamente ed in modo serio non se ne parla neanche, pare una sorta di lesa maestà.

Guardando avanti si intravede il muro in fondo al tunnel: noi abbiamo fregato a Dalmine i rifiuti di Bergamo ribassando il prezzo del 30 %, e se lo abbiamo fatto noi lo possono fare altri. Non ci vuole un’aquila a capire che, nel momento in cui altri incineritori o altre realtà capaci di assorbire rifiuti cominceranno a venir fuori, la concorrenza trasformerà questo gigante sovradimensionato nell’ennesima cattedrale abbandonata della storia dell’industria pesante italiana. Si può anche immaginare di far arrivare rifiuti dall’intera Europa, ma a che prezzo? La spazzatura è un genere estremamente ingombrante, e la benzina ha toccato ieri i due euro al litro in un distributore dell’A14.

Sembra sensato pensare che l’aumento dei prezzi del petrolio porterà verso micro-economie sempre più “autarchiche”, nelle quali riciclare finon all’ultimo sacchetto di pattume sarà un fatto di sopravvivenza. A rendercene conto arriveremo per ultimi, come ormai capita fisso: il mondo ci si trasforma intorno, ma noi non lo accettiamo, e sogniamo che basti cambiare l’articolo 18 e abbassare un po’ stipendi e pensioni per rimetterci in pista senza cambiare una virgola delle nostre strutture produttive e delle nostre gerarchie.

Nota extra 1: L’Istituto Mario Negri (citato più volte nell’articolo) è una istituzione privata, fondata a partire da un lascito ereditario da Mario Negri. E’ specializzata nel settore biologico-farmaceutico, ha sedi a Milano, Bergamo e Chieti. Conta 900 ricercatori che, lavorando su pochi specifici settori, equivalgono alla “potenza di fuoco” di una università di medie dimensioni.

Nota extra 2: Rispondendo a tre interrogazioni, la Regione Lombardia ha ufficializzato di recente che a Brescia non ci sono criticità ambientali (l’indirizzo web del resoconto è alla fine della prossima sezione). Prendo atto, e scusate se vi ho disturbato.

*) Parte quattro: Parole chiave ed elementi di approfondimento utili.

Fornisco indirizzi e parole chiave che, in un motore di ricerca, permettono velocemente di arrivare ai siti da cui si possono ottenere informazioni utili. Ovviamente sono scontati i vari Bresciaoggi eccetera.

Sulle questioni ambientali bresciane in generale, rimando all’articolo precedente sul sito di Radio Onda d’Urto: due chiacchiere sulla toxic city, cominciando dal cesio”, con una lunga lista di siti eccetera. Sulle questioni tecnico-scientifiche legate ai POP: Il sito dell’EPA (agenzia governativa americana per la protezione ambientale) sui pop: https://www.epa.gov/international/toxics/pop.html .E’ probabilmente il posto più informato del mondo in materia. Il sito corrispondente dell’Unione europea è https://ec.europa.eu/environment/pops/index_en.htm

L. Ritter, K.R. Solomon, J. Forget. Questi tre autori hanno curato una serie di lunghi e dettagliati report dal titolo “persistent organic pollutants” o simili, disponibili su internet. Indicato per chi vuol farsi una cultura MOSTRUOSA sull’argomento.

Al sito www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_821_allegato.pdf si trova il lungo rapporto “diossine furani e pcb” da parte dell’APAT, l’agenzia nazionale di protezione ambientale ora confluita nell’ISPRA (questo rapporto è in italiano, con molta attenzione agli aspetti normativi).

Al sito www.arpa.emr.it/cms3/documenti/_cerca_doc/…/fattore.pdf si trova una presentazione di Elena Fattore (dell’istituto Mario Negri), in mix angloitaliano, con un po’ di dati utili sui pop nelle catene alimentari della popolazione italiana. Molto interessanti le tabelle sull’alimentazione, e sulla ripartizione per età degli inquinanti.

Su Caffaro, A2a, acciaierie:

www.ambientebrescia.it è un importante sito di riferimento per i problemi dell’ambiente bresciano. Tra i curatori, Marino Ruzzenenti, alla cui testardaggine si deve il non riuscito affossamento dello scandalo Caffaro. Questo rimanda anche ad altri comitati impegnati per la difesa dell’ambiente e della salute dei Bresciani.

Sul sito https://www.virusilgiornaleonline.com/cronaca_16.htm  un articolo di Maria Bellu e Carlo Bonini ricostruisce in forma sintetica l’intera storia dello scandalo Caffaro fino circa al 2000.Per quanto riguarda i fatti dopo il 2000, le voci “caffaro liquidazione”,”caffaro acquirenti”, “caffaro bertolini”, “caffaro dupont”, “caffaro bonifica”,e “caffaro brescia tar”, portano ad una serie di articoli da vari siti che consentono di ricustruire le complesse vicissitudini legate alla messa in liquidazione della Caffaro ed al palleggio sulle responsabilità per la bonifica.

Gli articoli https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=33423 e https://brescia.corriere.it/brescia/notizie/cronaca/12_febbraio_7/20120207BRE06_23-1903172393146.shtmlm raccontano di come la bonifica sia iniziata col piede sbagliato, riversando abusivamente i materiali contaminati in una discarica non idonea.

“tesi nina nygren caffaro” porta al riassunto in italiano della tesi di una studentessa finlandese che ha studiato le reazioni piuttosto scomposte dell’ambiente bresciano messo davanti ai pasticci della Caffaro. Famosi nel mondo.

Al sito https://www.comune.brescia.it/Eventi/Servizi+al+Cittadino/vivere+l+ambiente/tutela+dell+ambiente/termoutilizzatore.htm

il comune di Brescia rende pubblici i suoi dati sui materiali bruciati nell’incineritore e sulle emissioni.

“arpa lombardia” per chi vuole divertirsi a cercare i dati sugli inquinanti della provincia. Qualcosa c’è. “andrea lovo tesi” rimanda al pdf della tesi di laurea di Andrea Lovo, al Politecnico a Milano, utile fonte di dati e referenze sulla situazione dei rifiuti a Brescia tra i l2004 e il 2008, e sul ruolo dell’incineritore. La tesi è anche rintracciabile sul sito di stefano montanari. Sul sito https://www.educambiente.tv/Cip6.html viene spiegato il meccanismo truffaldino con cui lo stato italiano sovvenziona gli inceneritori fingendo di sostenere una green economy. Altri articoli alla voce “cip6” possono dare più dettagli.

Qui: https://www.marigliano.biz/?p=726 viene raccontata una visita guidata all’interno dell’incineritore, spiegando come le temperature di lavoro siano tenute ben al di sotto dei 1000 gradi necessari per abbattere le diossine.

Al sito https://www.educambiente.tv/riciclare.html  spiegano che cosa si dovrebbe fare con tutta la roba che invece da noi finisce nell’incineritore.

In https://www.bsnews.it/notizia/14204/01_03_2012_A_Brescia_la_spazzatura_di_Bergamo_sar%C3%A0_bruciata_nellinceneritore_di_A2A_

ci raccontano come il nostro incineritore sia riuscito a fregare i rifiuti diBergamo a quello di Dalmine, ribassando i prezzi del 30 %.Sugli sviluppi recenti.Per i fatti recenti non si trova un sito o un testo che produca una sintesi,occorre prendere tutti gli articoli che negli ultimi anni si trovano alla voce”ambiente” su Corsera-Brescia, Giornale di Brescia, Bresciaoggi, e da lìallargare la ricerca. Questo funziona, ma non per l’incineritore, di cui questiquotidiani non parlano spesso. Per l’incineritore meglio provare con i siti divivicentro, quibrescia, bsnews, bresciapoint, ecoblog, bresciatoday,altrabrescia, e quelli connessi alla rete antinocività (sotto).Nel sito dell’ASL di BS città: all’indirizzohttps://www.aslbrescia.it/bin/index.php?id=1892 sono raccolti i link alle indagini epidemiologiche svolte a S.Polo negli anni 2004-08. Invece all’indirizzo https://www.aslbrescia.it/bin/index.php?id=2075 sono esposti gli studi sulle connessioni tra malattie e PCB, e sul propagarsi del PCB nelle catene alimentari della zona Caffaro.

https://antinocivitabs.tracciabi.li/ è la rete recentemente costituita da molte associazioni bresciane che da anni fanno quello che possono per impedire alla città di trasformarsi in una fogna a cielo aperto.

https://www.daimon.org/ambiente/ è un sito sicuramente “originale”, con una ricca raccolta di articoli su questioni di ambiente bresciano e link a molte associazioni. In questo articolo si fa il punto sulle tante indagini in corso alla Procura di Brescia sui reati ambientali

https://194.244.4.156/cgil_bs/sito_cgil/public/news.php?type=news&id=2272 “roberto migliori noe” porta ad alcune interviste o audizioni del comandante dei NOE di Brescia. In particolare in quella recente alla camera (in gran parte secretata) si lamentano i pasticci creati dal fatto che la regione abbia tolto la qualifica di ufficiale giudiziario agli ispettori dell’ARPA.

Come chicca finale: questo resoconto sul sito della regione Lombardia testimonia ufficialmente che a Brescia NON ci sono criticità ambientali, salvo qualche problemino in Franciacorta:

https://www.consiglio.regione.lombardia.it/web/lombardiaquotidiano/istituzione/-/asset_publisher/sGA1/content/inquinamento-ambientale-a-brescia%3Ainterrogazioni-su-alfa-acciai-inceneritore-a2a-e-smaltimentorifiuti;jsessionid=84406E6AFD3C796D0DF307C3138F7A06

 

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